La
vita dopo la morte.
L'anima
nel suo corpo eterico, nel suo corpo astrale, nel suo corpo mentale.
Purgatorio
e paradiso secondo l'esatto significato esoterico.
Descrizione
dello stato di grazia post-mortem, chiamato Devachan (Paradiso) in
letteratura indiana.
Abbiamo
studiato, nella lezione che descriveva l'individualizzazione umana,
che la cosiddetta personalità poggia le basi del suo esistere su
tre punti occulti: gli atomi che formano la triade inferiore
dell'io. Cioè, quell'atomo ultimo, che la Monade scelse nel piano
eterico, quando aleggiava sul mondo minerale, facendo esperienza di
"immetallizzazione"; l'atomo astrale, che la Monade scelse
e unì al precedente atomo eterico, quando si trovò ad assorbire
sensazioni nel mondo vegetale; e l'unità mentale, o, atomo ultimo
del piano mentale concreto inferiore, che la Monade preservò, unico
ed unito ai due precedenti, quando si immerse nel mondo animale,
preludente a quello umano. Questi tre atomi ultimi costituiscono un
vero miracolo della natura divina. Uniti assieme, formano il
piedistallo inferiore, o, la triade inferiore, tra il corpo causale
(anima) e la struttura superiore dell'io, o, Triade Superiore:
formata, a sua volta, da un atomo ultimo del piano atmico, da uno
del piano buddico e da uno del piano mentale superiore. Quando, con
l'aiuto della Gerarchia, l'angolo basso della Triade Superiore (o,
l'atomo ultimo del piano causale) entra in contatto con l'angolo
alto della triade inferiore, o, l'unità mentale, scocca la
scintilla dell'individualizzazione e viene creato il corpo causale,
che è il punto intermedio tra la Monade eterna, e la personalità
transitoria. I tre atomi ultimi che formano la triade inferiore,
come scrivemmo, sono un miracolo vero e proprio della natura.
Talmente recettivi e vibranti, formano il "fissaggio"
interno, che unisce corpo fisico, corpo astrale e corpo mentale
inferiore, durante ogni incarnazione, ed assorbono, rapidamente,
tutte le esperienze che la personalità compie, in vita, quasi
fossero delle piccole cellule foto-elettriche; alla morte, quando
l'anima si libera dei tre corpi, non potrebbe riallacciarsi ad una
prossima incarnazione, nè potrebbe vivere liberamente nei mondi
"oltre il velo", se non avesse questi tre atomi ultimi,
che essa ritira in sé, abbandonando al serbatoio dei tre piani i
suoi tre corpi. Gli atomi ultimi, infinitamente minimi, sono la sola
cosa che resta nel corpo causale, dopo che si è attuato il processo
di restituzione, eliminazione, assorbimento.
L'anima,
nel suo corpo eterico, è, ora, nella Luce, priva di organismo
denso. A seconda della sua evoluzione, sarà, subito, del tutto
desta, o, in uno stato letargico, simile a quello che precede il
risveglio mattutino dell'io. Il senso del tempo e dello spazio
iniziano ad allentare i legami e si unificano in un'unica natura:
tempo e spazio si mostrano in qualità di SOSTANZA COSMICA.
Secondo le tre linee evolutive principali, il disincarnato inizia a
sfoltire e smaltire la speciale sostanza umida (in senso occulto)
del suo corpo astrale. Prosegue, perciò, il processo di
eliminazione. Tutto quello che di pesante esisteva, nei desideri
umani, viene, dalla Natura, virilmente e decisamente consumato. Ma,
tutto nei limiti di un arco armonioso di durata.
Il
Maestro Tibetano, in uno dei Suoi trattati, asserisce che, per
l'ottanta per cento, le descrizioni dei mondi ove il disincorporato
va a stabilirsi, dopo la sua morte fisica, sono state, in passato, e
per lo più, errate. E, questo, per varie ragioni: una di queste è
dovuta al fatto che si è data l'illusione della persistenza del
tempo e dello spazio, in quei luoghi, quale, usualmente, si
considera. Un'altra è dovuta al fatto che si è troppo
meticolosamente insistito a descrivere regni e "cerchi"
del mondo astrale, offrendo l'impressione che quel regno fosse un
reame eterno della Natura Ascosa. Ora, i veri occultisti sanno che
il mondo astrale iniziò ad essere creato, durante l'epoca
atlantidea, dai miasmi genetico-emotivi di quella razza. Inoltre, il
mondo astrale è una tappa intermedia che il disincorporato incontra
prima di stabilizzarsi nel piano mentale. Esso è troppo fluido ed
umido, esotericamente parlando, perché lo si possa prendere in
considerazione, traducendo la sua natura nel fisso e secco
vocabolario della descrizione umana e verbale. Il mondo astrale è
destinato a scomparire, ed il fatto avverrà, pienamente, durante la
settima razza madre. È un mondo di dolore e di annebbiamento, in
cui vagano quelle anime che sono unite ancora alla terra, ma, non la
possono raggiungere, e vengono attratte dal cielo, che, pure, non
possono ancora padroneggiare, perché non completamente purificate.
È da questa cerchia negativa che provengono tutti quei messaggi di
sconforto e di dolore, ospitati nelle sedute medianiche. È qui che
Ulisse vide la madre e i suoi compagni d'avventure, i quali gli
confessarono che il più povero dei mendicanti sulla terra era
invidiato da un Re, nel mondo dell'Ade.
Comunque,
ben presto, il corpo astrale viene eliminato ed il disincorporato
possiede soltanto il corpo mentale. Dovrà distruggere anch'esso,
per sentirsi radioso - ma, pur sempre, limitato - nel corpo causale.
Difatti, quest'ultimo, viene, soltanto, distrutto, per legge, mentre
si è in piena e completa incarnazione sulla terra, tramite la
quarta iniziazione. Superato il girone del "purgatorio",
l'io inizia a gioire di una felicità che mai aveva gustato in
terra. Non esiste tempo, nè spazio, che lo imprigionino. Il passato
gli si mostra, nella sua pienezza; recupera i ricordi delle
incarnazioni precedenti e scorge una lunga strada simbolica, davanti
a sè, che gli rivela, per ampie linee, il suo futuro e le vite che
lo aspettano. Egli incontra tutti gli affetti che credeva scomparsi
per sempre; si riunisce a coloro che lo avevano preceduto nel
viaggio misterioso; inizia a comprendere la natura dei meravigliosi
mondi angelici, in piena attività creativa, nell'attuazione del
Piano Gerarchico. Ed acquista la facoltà di realizzare che tale
visione è Potere. È interessante constatare che il processo di
accostamento e di realizzazione che si sta attuando in lui è
esattamente quello che il discepolo, o, lo yoghi, conquistano,
coscientemente, senza l'aiuto di Sorella Morte, con le varie
tecniche di meditazione. Se l'anima è sviluppata, essa incontra,
dopo la morte, il Maestro ed entra, definitivamente, nell'Ashram,
per, mai, abbandonarlo. Se l'anima non è sviluppata, pur riuscendo
ad ottenere un pieno contatto con il proprio Angelo Solare, dopo
aver eliminato - come tutti gli ego - anche il suo corpo mentale
inferiore, rimarrà in una estatica contemplazione di una Luce
indistinta, il cui mistero potrà penetrare, molto più avanti, sul
Sentiero dell'evoluzione, dopo varie incarnazioni successive.
Comunque, l'evoluzione è sempre una conquista. Ed ogni sensazione
provata nel Devachan è di una tale intensità, che supera ogni
lontana immaginazione. Dal testo "Les premiers Enseignements
del Maîtres "- editions Adyar - Paris - 1924 - (datate dal
1881 al 1883) e pubblicate da C. Jinarajadasa, ex presidente della
Società Teosofica mondiale, traduciamo una lettera del Maestro K.H.,
che descrive le condizioni post mortem dell'anima. Essa è diretta a
Mr. Sinnet, noto studioso di esoterismo e Direttore dell'allora
esistente quotidiano "Pionier".
"..Perché
supporre che il Devachan sia uno stato monotono, per il solo fatto
che un certo momento di sensazione terrestre viene, indefinitamente,
perpetuato - prolungato, per così dire - attraverso i secoli? Non
è, non può essere così: ciò si dimostrerebbe contrario ad ogni
analogia ed in opposizione alla Legge degli Effetti, per la quale i
risultati sono proporzionati alle energie antecedenti. Per ben
cogliere il concetto, tenete presente che le cause hanno due campi
di manifestazione: l'oggettivo ed il soggettivo. Le energie più
grossolane, quelle che agiscono negli strati di materia più pesanti
e più densi, si manifestano nella vita fisica; ed hanno per
risultato le nuove personalità di ogni nascita, compresa nel gran
ciclo dell'individualità che evolve.
Le
attività morali e spirituali trovano nel Devachan la loro sfera di
effetti. Così, i vizi, le attrazioni fisiche, ecc., di un filosofo
possono avere per risultato la nascita di un nuovo filosofo, di un
re, di un commerciante, di un ricco epicureo, o, di qualsiasi altra
personalità, la cui costituzione era inevitabile, viste le tendenze
preponderanti dell'uomo, nella sua vita precedente. Bacone, per
esempio, chiamato da un poeta: "il più grande, il più saggio,
il più vile degli uomini", potrebbe, nella sua incarnazione
prossima, riapparire sotto aspetto di un arido manipolatore di
denaro, dai doni intellettuali straordinari. Ma le qualità morali e
spirituali di Bacone esigerebbero, egualmente, un campo di
espansione per le loro energie. Il Devachan è uno di questi; e, così,
tutti i vasti piani di riforme morali, di ricerche intellettuali e
spirituali nei principi astratti della natura, tutte le aspirazioni
verso il divino, darebbero frutto in Devachan, e l'entità astratta,
conosciuta, in passato, come il grande cancelliere, si occuperebbe,
in questo mondo interiore, della sua preparazione personale, e ci
vivrebbe, se non quella che viene chiamata una esistenza cosciente,
almeno un sogno di una intensità realista, a cui alcuna realtà
della vita terrena mai si avvicinerà. E questo sogno dura sino a
che il karma abbia, in quella direzione, ricevuto soddisfazione;
fino a quando l'onda di energia non raggiunga i bordi del bacino e
l'individuo passi ad un nuovo periodo causale. Questo periodo può
trovarlo, sia nello stesso mondo precedente, che in un altro, a
seconda del punto raggiunto dall'uomo, o, dalla donna in questione,
nella propria evoluzione, attraverso i cicli e le ronde necessari
allo sviluppo umano.
Quindi,
come concepire che un unico istante di sensazione terrestre sia
preso per tema di preparazione? È verissimo che questo momento si
perpetua indefinitamente, ma esso lo fa simile ad una nota tonica
dell'armonia intera, nota voluta, a vibrazione determinata, attorno
a cui si raggruppano e si sviluppano, in variazioni melodiche
progressive, in variazioni inestinguibili, tratte da un tema dato,
tutte le aspirazioni, tutti i desideri, speranze e sogni che hanno
potuto, relativamente a quel ciclo particolare, traversare, durante
la vita precedente, la mente del sognatore, senza mai prendere forma
nella materia, e che egli trova, ora, pienamente realizzati, e nella
maniera più intensa, in Devachan, senza poter dubitare che tale
realtà beatifica è, semplicemente, figlia della propria
immaginazione, effetto delle cause mentali, di cui lui stesso è
autore. Il momento unico e preciso che dominerà, con più intensità,
tra i pensieri del suo cervello moribondo, all'attimo della
dissoluzione, sarà di fondamentale importanza; beninteso, lo
saranno anche tutti gli altri "momenti"; ma, in minor
funzione evolutiva, e troveranno il loro posto assegnato, in tanta
panoramica fantasmagorica di sogni passati, e daranno varietà
all'assieme.
Non
esiste, sulla terra, un uomo che non provi una predilezione
qualsiasi, una passione dominante; nessuna persona, per quanto umile
e povera sia - e, spesso, proprio per questa ragione - manca di
carezzare sogni e desideri, che, mai, riuscì a soddisfare. Questa
è monotonia? Considerate simili variazioni, moltiplicate
all'infinito, su un tema unico (tema che si modella sul gruppo dei
desideri più attivi, nati in vita, prestando loro il proprio colore
e la propria forma caratteristica) e lo chiamereste "la
cancellazione di ogni coscienza, nello stato devachanico"? -
fatto, addirittura degradante? Allora, in verità, o, il mio
concetto vi sfugge, o, non mi so spiegare. Certamente, non ho saputo
farvi cogliere il senso esatto del mio pensiero, e debbo
riconoscermi incapace di descrivere l'inesprimibile. Quest'ultimo
compito, mio buon amico, diviene difficile, se le percezioni
intuitive non l'aiutano. Le più lunghe descrizioni - anche le più
pittoresche - resteranno vane. Dirò di più: non esiste parola
capace di esprimere la differenza tra lo stato mentale sulla terra e
questo altro stato, estraneo alla nostra sfera d'azione; alcuna
parola inglese, che equivalga alle nostre; null'altro che idee
preconcette e inevitabili (dovute alla fondamentale educazione
occidentale); cioè, delle false direzioni, date alla mentalità
dello studioso - che ci assistono in questa inoculazione di concetti
interamente nuovi. Avete ragione: non soltanto "la gente
ordinaria" (i vostri lettori), ma, anche, degli idealisti e
degli uomini di alta intelligenza non arriveranno a coglierne l'idea
esatta, nè, mai, investigheranno, interamente, la profondità.
Forse, comprenderete più tardi, meglio di oggi, la nostra
repugnanza a comunicare le conoscenze che possediamo a dei candidati
europei.
Ed
ecco un'altra idea falsa: il soggiorno in Devachan è tanto più
prolungato, quanto il merito è più grande. "Ma, allora, se
ogni sentimento di durata è perso, in Devachan, ed un minuto è
come mille anni, a che serve...", ecc..
Questa
osservazione e questa maniera di pensare potrebbero, però, bene
applicarsi all'Eternità finale, al Nirvana, al Pralaya; a tutto, in
fin dei conti. Ditelo, dunque: nel suo assieme, il sistema
dell'essere, dell'esistenza separata e collettiva, il sistema della
natura soggettiva ed oggettiva non rappresentano che dei fatti
assurdi e senza scopo, una frode gigantesca da parte di questi studi
che, poco simpatici alla filosofia occidentale, incontrano, inoltre,
la disapprovazione crudele dei suoi migliori rappresentanti. In tale
caso, a quale scopo praticare le nostre dottrine, imporci un lavoro
ingrato e lavorare contro corrente? Perché, dunque, l'occidente
tiene tanto alle lezioni dell'oriente, dal momento che si trova
incapace di assimilare dei princîpi che, mai, risponderanno al
carattere particolare della sua estetica? Triste prospettiva, per
noi, poiché voi stesso non arrivate ad afferrare tutta l'intensità
della nostra filosofia. E, neanche, a distinguere facilmente un
semplice angolo - il Devachan - di questi sublimi orizzonti, che si
aprono "oltre il velo". Senza volervi scoraggiare,
desidero soltanto attrarre la vostra attenzione sulle formidabili
difficoltà che noi incontriamo, ogni volta che ci sforziamo di
chiarire la nostra metafisica a degli occidentali, anche ai più
intelligenti. No: nessun orologio, nè pendole, in Devachan - benchè
l'universo intero sia, in un certo senso, un gigantesco cronometro.
D'altronde, i mortali stessi non perdono la nozione del tempo, nei
periodi di gioia e di beatitudine, che essi trovano, sempre, troppo
brevi, quaggiù? Questo fatto non ci impedisce, minimamente, quando
la felicità arriva, di gustarla con piacere. Può essere (ci avete
mai pensato?) che l'abitante del Devachan perda ogni senso di
durata, perché la felicità riempie la sua coppa sino al bordo. La
cosa è differente per gli abitanti di Avitchi (n.d.a.: l'ottava
sfera), benchè costoro, come quelli del Devachan, non abbiano la
nozione del tempo, cioè, della maniera in cui, sulla terra, noi
calcoliamo i periodi
A
tale riguardo io posso ancora ricordarvi quanto segue: "Il
tempo è una cosa di cui noi stessi siamo i creatori"; per un
singolo uomo, un breve secondo di estrema angoscia può sembrare,
anche sulla terra, un'eternità; per un altro, più felice, le ore,
i giorni, e, spesso, gli anni, sembra che volino come un corto
istante. Di tutti gli esseri terreni dotati di sentimento e di
coscienza, l'uomo è il solo animale che possegga la nozione del
tempo, benchè non sia nè più felice, nè saggio. Perciò, come
potrei spiegarvi ciò che vi è impossibile intuire, giacché siete
incapace di comprenderlo? Immagini concrete non sono fatte per
esprimere l'astratto e l'infinito: mai, l'oggettivo riuscirà a
riflettere il soggettivo (n.d.a.: separatamente, l'uno dall'altro).
Per rendervi conto della beatitudine provata in Devachan, o delle
pene subìte in Avitchi, voi dovete, come facciamo noi, averle
assimilate nella coscienza. L'idealismo critico occidentale deve
ancora comprendere la differenza tra la vera essenza degli oggetti
soprasensibili e la soggettività inconsistente, alla quale esso li
riduce. Il tempo non è un attributo; non può, dunque, venir, nè
provato, nè analizzato, secondo i metodi della filosofia
superficiale. A meno di imparare a reagire contro i risultati
negativi ottenuti da tale maniera di pervenire alle conclusioni,
secondo il sistema della ragion pura, come viene chiamato; - e a
distinguere, da una parte, la materia, dall'altra, il metodo con cui
prendiamo conoscenza degli oggetti sensibili - mai riusciremo a
raggiungere delle conclusioni giuste e precise. Il punto di
divergenza, che oppongo alla vostra propria concezione (molto
naturale), prova, a fondo, la superficialità e, anche, la falsità
di questo sistema di ragion pura (materialista). Se, come afferma
Kant, lo Spazio ed il Tempo sono, non già il prodotto, ma i
regolatori di sensazioni, ciò è vero solo per quanto riguarda le
nostre sensazioni sulla terra e non per quelle in Devachan. Là, non
esiste alcuna idea a priori di Spazio e Tempo, che s'impongano agli
ego, relativamente agli oggetti vitali. Noi scopriamo, al contrario,
che l'abitante stesso del Devachan ne è, in modo assoluto, alla
volta, il creatore ed il distruttore. Ecco la ragione per cui gli
stati cosiddetti "postumi" non potranno mai essere
giudicati correttamente dalla ragione pratica, poiché quest'ultima
esiste ed agisce solo nella sfera delle cause finali o scopi. E non
può essere chiamata (come fa Kant, che, su di una pagina dà alla
parola il senso di "ragione" e, nella seguente, il senso
di "volontà") la facoltà spirituale suprema nell'uomo,
che ha per dominio la Volontà..
(continua
alla prossima lezione)
|