Lezione Diciannovesima (parte quarta)

 

La vita dopo la morte.

L'anima nel suo corpo eterico, nel suo corpo astrale, nel suo corpo mentale.

Purgatorio e paradiso secondo l'esatto significato esoterico.

Descrizione dello stato di grazia post-mortem, chiamato Devachan (Paradiso) in letteratura indiana.

Abbiamo studiato, nella lezione che descriveva l'individualizzazione umana, che la cosiddetta personalità poggia le basi del suo esistere su tre punti occulti: gli atomi che formano la triade inferiore dell'io. Cioè, quell'atomo ultimo, che la Monade scelse nel piano eterico, quando aleggiava sul mondo minerale, facendo esperienza di "immetallizzazione"; l'atomo astrale, che la Monade scelse e unì al precedente atomo eterico, quando si trovò ad assorbire sensazioni nel mondo vegetale; e l'unità mentale, o, atomo ultimo del piano mentale concreto inferiore, che la Monade preservò, unico ed unito ai due precedenti, quando si immerse nel mondo animale, preludente a quello umano. Questi tre atomi ultimi costituiscono un vero miracolo della natura divina. Uniti assieme, formano il piedistallo inferiore, o, la triade inferiore, tra il corpo causale (anima) e la struttura superiore dell'io, o, Triade Superiore: formata, a sua volta, da un atomo ultimo del piano atmico, da uno del piano buddico e da uno del piano mentale superiore. Quando, con l'aiuto della Gerarchia, l'angolo basso della Triade Superiore (o, l'atomo ultimo del piano causale) entra in contatto con l'angolo alto della triade inferiore, o, l'unità mentale, scocca la scintilla dell'individualizzazione e viene creato il corpo causale, che è il punto intermedio tra la Monade eterna, e la personalità transitoria. I tre atomi ultimi che formano la triade inferiore, come scrivemmo, sono un miracolo vero e proprio della natura. Talmente recettivi e vibranti, formano il "fissaggio" interno, che unisce corpo fisico, corpo astrale e corpo mentale inferiore, durante ogni incarnazione, ed assorbono, rapidamente, tutte le esperienze che la personalità compie, in vita, quasi fossero delle piccole cellule foto-elettriche; alla morte, quando l'anima si libera dei tre corpi, non potrebbe riallacciarsi ad una prossima incarnazione, nè potrebbe vivere liberamente nei mondi "oltre il velo", se non avesse questi tre atomi ultimi, che essa ritira in sé, abbandonando al serbatoio dei tre piani i suoi tre corpi. Gli atomi ultimi, infinitamente minimi, sono la sola cosa che resta nel corpo causale, dopo che si è attuato il processo di restituzione, eliminazione, assorbimento.

L'anima, nel suo corpo eterico, è, ora, nella Luce, priva di organismo denso. A seconda della sua evoluzione, sarà, subito, del tutto desta, o, in uno stato letargico, simile a quello che precede il risveglio mattutino dell'io. Il senso del tempo e dello spazio iniziano ad allentare i legami e si unificano in un'unica natura: tempo e spazio si mostrano in qualità di SOSTANZA COSMICA. Secondo le tre linee evolutive principali, il disincarnato inizia a sfoltire e smaltire la speciale sostanza umida (in senso occulto) del suo corpo astrale. Prosegue, perciò, il processo di eliminazione. Tutto quello che di pesante esisteva, nei desideri umani, viene, dalla Natura, virilmente e decisamente consumato. Ma, tutto nei limiti di un arco armonioso di durata.

Il Maestro Tibetano, in uno dei Suoi trattati, asserisce che, per l'ottanta per cento, le descrizioni dei mondi ove il disincorporato va a stabilirsi, dopo la sua morte fisica, sono state, in passato, e per lo più, errate. E, questo, per varie ragioni: una di queste è dovuta al fatto che si è data l'illusione della persistenza del tempo e dello spazio, in quei luoghi, quale, usualmente, si considera. Un'altra è dovuta al fatto che si è troppo meticolosamente insistito a descrivere regni e "cerchi" del mondo astrale, offrendo l'impressione che quel regno fosse un reame eterno della Natura Ascosa. Ora, i veri occultisti sanno che il mondo astrale iniziò ad essere creato, durante l'epoca atlantidea, dai miasmi genetico-emotivi di quella razza. Inoltre, il mondo astrale è una tappa intermedia che il disincorporato incontra prima di stabilizzarsi nel piano mentale. Esso è troppo fluido ed umido, esotericamente parlando, perché lo si possa prendere in considerazione, traducendo la sua natura nel fisso e secco vocabolario della descrizione umana e verbale. Il mondo astrale è destinato a scomparire, ed il fatto avverrà, pienamente, durante la settima razza madre. È un mondo di dolore e di annebbiamento, in cui vagano quelle anime che sono unite ancora alla terra, ma, non la possono raggiungere, e vengono attratte dal cielo, che, pure, non possono ancora padroneggiare, perché non completamente purificate. È da questa cerchia negativa che provengono tutti quei messaggi di sconforto e di dolore, ospitati nelle sedute medianiche. È qui che Ulisse vide la madre e i suoi compagni d'avventure, i quali gli confessarono che il più povero dei mendicanti sulla terra era invidiato da un Re, nel mondo dell'Ade.

Comunque, ben presto, il corpo astrale viene eliminato ed il disincorporato possiede soltanto il corpo mentale. Dovrà distruggere anch'esso, per sentirsi radioso - ma, pur sempre, limitato - nel corpo causale. Difatti, quest'ultimo, viene, soltanto, distrutto, per legge, mentre si è in piena e completa incarnazione sulla terra, tramite la quarta iniziazione. Superato il girone del "purgatorio", l'io inizia a gioire di una felicità che mai aveva gustato in terra. Non esiste tempo, nè spazio, che lo imprigionino. Il passato gli si mostra, nella sua pienezza; recupera i ricordi delle incarnazioni precedenti e scorge una lunga strada simbolica, davanti a sè, che gli rivela, per ampie linee, il suo futuro e le vite che lo aspettano. Egli incontra tutti gli affetti che credeva scomparsi per sempre; si riunisce a coloro che lo avevano preceduto nel viaggio misterioso; inizia a comprendere la natura dei meravigliosi mondi angelici, in piena attività creativa, nell'attuazione del Piano Gerarchico. Ed acquista la facoltà di realizzare che tale visione è Potere. È interessante constatare che il processo di accostamento e di realizzazione che si sta attuando in lui è esattamente quello che il discepolo, o, lo yoghi, conquistano, coscientemente, senza l'aiuto di Sorella Morte, con le varie tecniche di meditazione. Se l'anima è sviluppata, essa incontra, dopo la morte, il Maestro ed entra, definitivamente, nell'Ashram, per, mai, abbandonarlo. Se l'anima non è sviluppata, pur riuscendo ad ottenere un pieno contatto con il proprio Angelo Solare, dopo aver eliminato - come tutti gli ego - anche il suo corpo mentale inferiore, rimarrà in una estatica contemplazione di una Luce indistinta, il cui mistero potrà penetrare, molto più avanti, sul Sentiero dell'evoluzione, dopo varie incarnazioni successive. Comunque, l'evoluzione è sempre una conquista. Ed ogni sensazione provata nel Devachan è di una tale intensità, che supera ogni lontana immaginazione. Dal testo "Les premiers Enseignements del Maîtres "- editions Adyar - Paris - 1924 - (datate dal 1881 al 1883) e pubblicate da C. Jinarajadasa, ex presidente della Società Teosofica mondiale, traduciamo una lettera del Maestro K.H., che descrive le condizioni post mortem dell'anima. Essa è diretta a Mr. Sinnet, noto studioso di esoterismo e Direttore dell'allora esistente quotidiano "Pionier".

"..Perché supporre che il Devachan sia uno stato monotono, per il solo fatto che un certo momento di sensazione terrestre viene, indefinitamente, perpetuato - prolungato, per così dire - attraverso i secoli? Non è, non può essere così: ciò si dimostrerebbe contrario ad ogni analogia ed in opposizione alla Legge degli Effetti, per la quale i risultati sono proporzionati alle energie antecedenti. Per ben cogliere il concetto, tenete presente che le cause hanno due campi di manifestazione: l'oggettivo ed il soggettivo. Le energie più grossolane, quelle che agiscono negli strati di materia più pesanti e più densi, si manifestano nella vita fisica; ed hanno per risultato le nuove personalità di ogni nascita, compresa nel gran ciclo dell'individualità che evolve.

Le attività morali e spirituali trovano nel Devachan la loro sfera di effetti. Così, i vizi, le attrazioni fisiche, ecc., di un filosofo possono avere per risultato la nascita di un nuovo filosofo, di un re, di un commerciante, di un ricco epicureo, o, di qualsiasi altra personalità, la cui costituzione era inevitabile, viste le tendenze preponderanti dell'uomo, nella sua vita precedente. Bacone, per esempio, chiamato da un poeta: "il più grande, il più saggio, il più vile degli uomini", potrebbe, nella sua incarnazione prossima, riapparire sotto aspetto di un arido manipolatore di denaro, dai doni intellettuali straordinari. Ma le qualità morali e spirituali di Bacone esigerebbero, egualmente, un campo di espansione per le loro energie. Il Devachan è uno di questi; e, così, tutti i vasti piani di riforme morali, di ricerche intellettuali e spirituali nei principi astratti della natura, tutte le aspirazioni verso il divino, darebbero frutto in Devachan, e l'entità astratta, conosciuta, in passato, come il grande cancelliere, si occuperebbe, in questo mondo interiore, della sua preparazione personale, e ci vivrebbe, se non quella che viene chiamata una esistenza cosciente, almeno un sogno di una intensità realista, a cui alcuna realtà della vita terrena mai si avvicinerà. E questo sogno dura sino a che il karma abbia, in quella direzione, ricevuto soddisfazione; fino a quando l'onda di energia non raggiunga i bordi del bacino e l'individuo passi ad un nuovo periodo causale. Questo periodo può trovarlo, sia nello stesso mondo precedente, che in un altro, a seconda del punto raggiunto dall'uomo, o, dalla donna in questione, nella propria evoluzione, attraverso i cicli e le ronde necessari allo sviluppo umano.

Quindi, come concepire che un unico istante di sensazione terrestre sia preso per tema di preparazione? È verissimo che questo momento si perpetua indefinitamente, ma esso lo fa simile ad una nota tonica dell'armonia intera, nota voluta, a vibrazione determinata, attorno a cui si raggruppano e si sviluppano, in variazioni melodiche progressive, in variazioni inestinguibili, tratte da un tema dato, tutte le aspirazioni, tutti i desideri, speranze e sogni che hanno potuto, relativamente a quel ciclo particolare, traversare, durante la vita precedente, la mente del sognatore, senza mai prendere forma nella materia, e che egli trova, ora, pienamente realizzati, e nella maniera più intensa, in Devachan, senza poter dubitare che tale realtà beatifica è, semplicemente, figlia della propria immaginazione, effetto delle cause mentali, di cui lui stesso è autore. Il momento unico e preciso che dominerà, con più intensità, tra i pensieri del suo cervello moribondo, all'attimo della dissoluzione, sarà di fondamentale importanza; beninteso, lo saranno anche tutti gli altri "momenti"; ma, in minor funzione evolutiva, e troveranno il loro posto assegnato, in tanta panoramica fantasmagorica di sogni passati, e daranno varietà all'assieme.

Non esiste, sulla terra, un uomo che non provi una predilezione qualsiasi, una passione dominante; nessuna persona, per quanto umile e povera sia - e, spesso, proprio per questa ragione - manca di carezzare sogni e desideri, che, mai, riuscì a soddisfare. Questa è monotonia? Considerate simili variazioni, moltiplicate all'infinito, su un tema unico (tema che si modella sul gruppo dei desideri più attivi, nati in vita, prestando loro il proprio colore e la propria forma caratteristica) e lo chiamereste "la cancellazione di ogni coscienza, nello stato devachanico"? - fatto, addirittura degradante? Allora, in verità, o, il mio concetto vi sfugge, o, non mi so spiegare. Certamente, non ho saputo farvi cogliere il senso esatto del mio pensiero, e debbo riconoscermi incapace di descrivere l'inesprimibile. Quest'ultimo compito, mio buon amico, diviene difficile, se le percezioni intuitive non l'aiutano. Le più lunghe descrizioni - anche le più pittoresche - resteranno vane. Dirò di più: non esiste parola capace di esprimere la differenza tra lo stato mentale sulla terra e questo altro stato, estraneo alla nostra sfera d'azione; alcuna parola inglese, che equivalga alle nostre; null'altro che idee preconcette e inevitabili (dovute alla fondamentale educazione occidentale); cioè, delle false direzioni, date alla mentalità dello studioso - che ci assistono in questa inoculazione di concetti interamente nuovi. Avete ragione: non soltanto "la gente ordinaria" (i vostri lettori), ma, anche, degli idealisti e degli uomini di alta intelligenza non arriveranno a coglierne l'idea esatta, nè, mai, investigheranno, interamente, la profondità. Forse, comprenderete più tardi, meglio di oggi, la nostra repugnanza a comunicare le conoscenze che possediamo a dei candidati europei.

Ed ecco un'altra idea falsa: il soggiorno in Devachan è tanto più prolungato, quanto il merito è più grande. "Ma, allora, se ogni sentimento di durata è perso, in Devachan, ed un minuto è come mille anni, a che serve...", ecc..

Questa osservazione e questa maniera di pensare potrebbero, però, bene applicarsi all'Eternità finale, al Nirvana, al Pralaya; a tutto, in fin dei conti. Ditelo, dunque: nel suo assieme, il sistema dell'essere, dell'esistenza separata e collettiva, il sistema della natura soggettiva ed oggettiva non rappresentano che dei fatti assurdi e senza scopo, una frode gigantesca da parte di questi studi che, poco simpatici alla filosofia occidentale, incontrano, inoltre, la disapprovazione crudele dei suoi migliori rappresentanti. In tale caso, a quale scopo praticare le nostre dottrine, imporci un lavoro ingrato e lavorare contro corrente? Perché, dunque, l'occidente tiene tanto alle lezioni dell'oriente, dal momento che si trova incapace di assimilare dei princîpi che, mai, risponderanno al carattere particolare della sua estetica? Triste prospettiva, per noi, poiché voi stesso non arrivate ad afferrare tutta l'intensità della nostra filosofia. E, neanche, a distinguere facilmente un semplice angolo - il Devachan - di questi sublimi orizzonti, che si aprono "oltre il velo". Senza volervi scoraggiare, desidero soltanto attrarre la vostra attenzione sulle formidabili difficoltà che noi incontriamo, ogni volta che ci sforziamo di chiarire la nostra metafisica a degli occidentali, anche ai più intelligenti. No: nessun orologio, nè pendole, in Devachan - benchè l'universo intero sia, in un certo senso, un gigantesco cronometro. D'altronde, i mortali stessi non perdono la nozione del tempo, nei periodi di gioia e di beatitudine, che essi trovano, sempre, troppo brevi, quaggiù? Questo fatto non ci impedisce, minimamente, quando la felicità arriva, di gustarla con piacere. Può essere (ci avete mai pensato?) che l'abitante del Devachan perda ogni senso di durata, perché la felicità riempie la sua coppa sino al bordo. La cosa è differente per gli abitanti di Avitchi (n.d.a.: l'ottava sfera), benchè costoro, come quelli del Devachan, non abbiano la nozione del tempo, cioè, della maniera in cui, sulla terra, noi calcoliamo i periodi

A tale riguardo io posso ancora ricordarvi quanto segue: "Il tempo è una cosa di cui noi stessi siamo i creatori"; per un singolo uomo, un breve secondo di estrema angoscia può sembrare, anche sulla terra, un'eternità; per un altro, più felice, le ore, i giorni, e, spesso, gli anni, sembra che volino come un corto istante. Di tutti gli esseri terreni dotati di sentimento e di coscienza, l'uomo è il solo animale che possegga la nozione del tempo, benchè non sia nè più felice, nè saggio. Perciò, come potrei spiegarvi ciò che vi è impossibile intuire, giacché siete incapace di comprenderlo? Immagini concrete non sono fatte per esprimere l'astratto e l'infinito: mai, l'oggettivo riuscirà a riflettere il soggettivo (n.d.a.: separatamente, l'uno dall'altro). Per rendervi conto della beatitudine provata in Devachan, o delle pene subìte in Avitchi, voi dovete, come facciamo noi, averle assimilate nella coscienza. L'idealismo critico occidentale deve ancora comprendere la differenza tra la vera essenza degli oggetti soprasensibili e la soggettività inconsistente, alla quale esso li riduce. Il tempo non è un attributo; non può, dunque, venir, nè provato, nè analizzato, secondo i metodi della filosofia superficiale. A meno di imparare a reagire contro i risultati negativi ottenuti da tale maniera di pervenire alle conclusioni, secondo il sistema della ragion pura, come viene chiamato; - e a distinguere, da una parte, la materia, dall'altra, il metodo con cui prendiamo conoscenza degli oggetti sensibili - mai riusciremo a raggiungere delle conclusioni giuste e precise. Il punto di divergenza, che oppongo alla vostra propria concezione (molto naturale), prova, a fondo, la superficialità e, anche, la falsità di questo sistema di ragion pura (materialista). Se, come afferma Kant, lo Spazio ed il Tempo sono, non già il prodotto, ma i regolatori di sensazioni, ciò è vero solo per quanto riguarda le nostre sensazioni sulla terra e non per quelle in Devachan. Là, non esiste alcuna idea a priori di Spazio e Tempo, che s'impongano agli ego, relativamente agli oggetti vitali. Noi scopriamo, al contrario, che l'abitante stesso del Devachan ne è, in modo assoluto, alla volta, il creatore ed il distruttore. Ecco la ragione per cui gli stati cosiddetti "postumi" non potranno mai essere giudicati correttamente dalla ragione pratica, poiché quest'ultima esiste ed agisce solo nella sfera delle cause finali o scopi. E non può essere chiamata (come fa Kant, che, su di una pagina dà alla parola il senso di "ragione" e, nella seguente, il senso di "volontà") la facoltà spirituale suprema nell'uomo, che ha per dominio la Volontà..

(continua alla prossima lezione)