Lezione Ventiduesima (prima parte)

 

Il rapporto tra il piano visibile e quello invisibile dell'esistenza. Qual'è il ponte che unisce i due?

Colui che desidera divenire un saggio cultore della scienza degli Iniziati, pur postulando la struttura del proprio io su di una trascendenza originale, inconcepibile a mente umana, dovrà penetrare nel ritmo dettagliato di uno studio razionale sugli effetti della Causa Incausata, avendo Quest'Ultima come sfondo necessario ad ogni pensiero ed azione. Inutile voler cercare di frenare l'incessante fluidismo elastico dello sviluppo di ogni regno della natura (dai visibili agli invisibili) con l'investigare sulla Ragione Prima di tutta la manifestazione universale; lo sguardo dell'uomo giungerà a scoprire dei Punti Cosmici a cui il nostro sistema solare è legato, per fondazione occulta e per assorbimento costante di energie; ma, non si fisserà, mai, ad un dato originatore, a cui si rifaccia l'intera responsabilità dell'esistenza di ogni universo. Dovrà studiare l'aspetto astratto della legge di creatività, latente in ogni schema di espressione vitale, consapevole che la medesima ritma il proprio pulsare, sia mentre vivifica la vita di un infusorio, che quella di un sistema solare; e lo fa sempre nella stessa maniera. Appresa la Legge Unica, egli applicherà, consapevolmente, tali diagrammi di modulazione, ovunque e quando lo vorrà.

Consideriamo, quindi, un primo postulato. Esiste un'unica sostanza, madre delle altre, che gli indiani chiamano mulaprakriti (radice dell'essere), sin dai tempi dei tempi. Non possiamo definirla come energia, nè come materia. E lo abbiamo visto nella precedente lezione. Possiamo soltanto ammettere che tale sostanza si manifesta ai sensi dell'uomo - sia metafisici, che fisici - in vari stati di sottigliezza. Quando essa ha raggiunto una massiccia quadratura delle proprie possibilità di manifestazione noi diciamo che determina il mondo materiale e visibile, qual'è da noi conosciuto; quando, invece, il suo stato è troppo rarefatto per essere coscientemente percepito dall'uomo comune noi ci troviamo a che fare con i mondi sottili, di cui tanto parlare si fa, in seno ad ogni religione mondiale; o, con le forze sconosciute, eppure potentissime, del pensiero, della magìa, dell' Adeptato. E se, in una prima analisi, abbiamo diviso il reame del manifesto in due porzioni grossolane - il visibile e l'invisibile -, ad un ulteriore e più approfondito esame della situazione, vedremo che sette sono i gradi di sfumatura, esistenti in seno a questa materia originale: la mulaprakriti degli indiani. Le letterature teosofiche, o, esoteriche, o, iniziatiche di tutti i tempi hanno penetrato a fondo il nucleo di tali sette reami. La Kabala parla dei sette Troni Angelici, dei sette Sephirot; gli occultisti, dei sette piani di esistenza, ecc.. I cattolici, senza cognizione di causa, affermano l'esistenza del paradiso, considerando uno tra gli inferiori di tali piani, in cui si annida la pulsazione spirituale dell'anima umana, dopo avere oltrepassato il "velo" della morte del corpo fisico. Il lettore ha conoscenza di tali piani; e sa che il mondo fisico è l'ultimo e più basso di essi, e che ogni sua incarnazione lo distacca dai mondi superiori, per immetterlo, nuovamente, nel ritmo della materia, ove la propria anima acquista l'autocoscienza e una consapevolezza di potere e sapere. Comunque siano le cose e qualunque visione abbia lo studioso dell'aspetto ignoto dell'essere, un fattore risulta importante. In tutto questo rapporto tra il metafisico ed il fisico, non v'è stasi, o, separazione. Una precisa interrelazione si svolge tra il piano visibile e l'invisibile e lega il primo al secondo (e viceversa), fino a quando non si è scoperto il nodo comune ad entrambi. Il movimento della materia universale è sempre in ondulazione. Le forze dei piani superiori a quello umano sono in costante movimento e mutamento e si annidano nel mondo oggettivo, non solo senza che quest'ultimo se ne renda conto, ma, addirittura - quando esse scaturiscono da Intelligenze Supernormali - conducendone la manifestazione.

Non si può negare l'esistenza di un controllo superiore alle cose di questa vita. Tante ragioni, nel recente sviluppo del pensiero umano, si sono rivelate efficaci all'uopo, che diviene dogmatico negare l'esistenza del metafisico. Si tratta, solamente, di nutrire l'intelligenza umana, dando una spiegazione scientifica e razionale al fatto. Il nodo vitale tra l'espressione fisica solida e quella energetica, la scienza lo ha sciolto con la scoperta della disgregazione atomica; e continua a dipanarlo, tramutando l'elettricità in materia, e viceversa. Altrettanto, anche se impropriamente, hanno fatto le liturgie di ogni tempo, cercando di vincolare l'uomo materiale ad uno sfondo liberatorio di forze trascendenti e cercando di indicargli l'esistenza di un fattore di catarsi, fuori dal piano visuale. Ma, l'affermazione di certi dogmi, la coercizione, da parte della casta sacerdotale, in genere, alla fede, portata come obbligo, che non ammette discussione e porta alla scomunica colui che non la esterna, e altre varie ragioni, hanno allontanato molti validi pensatori da essa, ed hanno creato, dall'altra parte, una schiera di individui che, per servilità parossistica, negano alla propria ragione un movimento individuale e si preparano, per le epoche future, a cicli di immobilismo spirituale.

Se l'occultismo eletto afferma che determinate cose non possono venir manipolate ancora dalla sfera dell'intelletto concreto, dall'altra soggiunge che esse verranno percepite da un sottile senso dell'intuito spirituale. Questa non è fede cieca; è il significato di buddhi, come in oriente viene chiamato.

Cerchiamo, dunque, la nobile via di mezzo e perveniamo al secondo postulato della nostra ricerca. L'unica sostanza, che abbiamo chiamato mulaprakriti, è in eterno movimento; ripudia la stasi. Se essa, al piano di coscienza a cui è giunto colui che analizza la situazione, gli si presenta come la radice del proprio orizzonte ambientale, si rifletterà in un ulteriore aspetto sottile, dal quale irradia l'ampio mantello della sua natura, e con il quale plasma il medesimo orizzonte. Tale radice, gli indiani chiamano Parabrahman. Inutile voler fissarci sui termini. Brahman, dal sanscrito, significa: l'originatore del movimento, nella sfera più aderente alla coscienza dell'osservatore (da brih = muoversi); Para, significa: "ciò che è prima". Quindi, ciò che è prima di mulaprakriti. In poche parole, il secondo postulato afferma che il più pesante deriva dal più sottile e quest'ultimo - aggiungiamo - determina e conduce il più pesante. Bisogna andare alle origini ed unire e vivificare l'aspetto di vita che vogliamo padroneggiare, con le sue più intime radici. Quel che ci appare per manifestazione visibile è condotto e sorretto dall'invisibile; soltanto imparando a conoscere tale invisibile potremo controllare il visibile. Ecco, quindi, la ragione per cui la forza del pensiero è considerata la trionfatrice di ogni oggettivazione materiale, e, con essa, gli Adepti riescono a guidare il proprio destino e quello altrui, se necessitanti a farlo. Ma, non si perda, mai, di vista lo sviluppo armonioso di tale potere. Noi abbiamo parlato di Adepti. L'uomo comune non può, ancora, con il pensiero, controllare le forze della natura, come faceva Gesù, come faceva Mosè, ecc.. All'inizio, innaffiando con le deboli energie che possiede il proprio giardino psichico, imperlerà di rugiada i germi, che si svilupperanno in saldo potere, un domani; imperlerà di rugiada l'individuo amato, che fa parte del suo gruppo spirituale. Unirà le proprie forze al fascio mentale di coloro che, nell'umanità, agiscono nella medesima direzione, creando un vortice psichico comune, di grande aiuto alla elevazione del genere intero.

Qualche ipotetico studente potrebbe obiettare che i termini "mulaprakriti e parabrahman" si riferiscono, nella letteratura e negli studi sanscriti, alla materia primordiale, nei suoi aspetti; cioè, alla base di ogni costrutto fisico ed energetico, di ciò che appare come panorama di universi stellari e mentali. Che i due termini furono, sempre, adoperati per indicare il primo emergere di un sistema solare, nelle sue fondamenta originali. A questa obiezione, noi contrapponiamo i due concetti, insiti nel significato del ciclo e del principio della legge. Esiste una legge che si apre, meravigliosa e totale, in ogni frammento dell'espressione, sia in basso che in alto. Esiste un dualismo, che si riunisce nel trialismo da noi analizzato nel paragrafo precedente, che è puramente astratto. Chi conosce i termini di tale formula espressiva del creato, non può - e ciò trapela anche nella più profonda letteratura degli Adepti dell'Arcano - affermare che mulaprakriti e parabrahman siano prerogativa delle Origini di un Cosmo e che, identici, non appaiano nelle ulteriori fasi successive del suo evolversi. Ogni piano ha tre aspetti: la materia densa, (materia), la materia meno densa (spirito) e la coscienza che si sviluppa in essi, a seconda dei rapporti di attrito che un determinato ciclo impone a quei poli (anima). Come disse un Maestro dell'Occulto - K.H. - "Esiste solo la materia, che perpetua sè medesima, nel ritmo obbligato degli universi".

Focalizziamo, quindi, l'attenzione nel bandolo che unisce i due opposti alla manifestazione. Qual'è il terzo vertice del triangolo? Cos'è che dà la libertà di decidere in che punto esistano i limiti della zona dell'energia e lo strato della materia? Lo scienziato può chiamare tale incrocio di entità: la macchina. Lo spiritualista può affermare che si tratta della coscienza. L'iniziato dice essere la volontà. Il Maestro raduna la coscienza, la strumentalizzazione della medesima e la volontà, e determina il terzo fattore ai due precedenti - spirito e materia - chiamandolo: giusta via di mezzo, ciclo. Non esiste danzatore più armonioso di un Maestro, nel ritmo sacro dei rapporti; non esiste cantore più delicato dello stesso, il quale sappia afferrare le note discordanti di ogni opposto, fondendole in un arpeggio, ove la soluzione è la miscela adatta e trionfante. Tra l'essere ed il non essere, lo strato dell'io penetra in un'alchimia di liquor-vitae, da cui scaturisce la linfa della prosecuzione degli infiniti. Lo stato di tensione del finito, è nell'animo dell'uomo che si allenta e diviene infinito. Il nucleo di vita primordiale si rinnova, continuamente, nella coscienza dell'iniziato. E solo un'anima pura, figlia della sua epoca, figlia del retaggio di una lunga evoluzione reincarnativa precedente, è ricca di ogni sfumatura necessaria per divenire padrona dell'arcobaleno, che sprizza dalle ali luminose dell'araba fenice, che rinnova sempre sè medesima dalle proprie ceneri. Questa è la ragione per cui affermammo che, nella scienza dei mantrams, tradizione ed originalità si fondono