Oggetto di Aiud

 

Nel 1974, un gruppo di lavoratori trovarono a 50km a nord di Cluj Napoca, al margine esterno del Monte Siebenberger, in una cava di sabbia in riva al fiume Mures, a circa 2 km ad est della città di Aiud, in Romania, tre piccoli oggetti conficcati in uno strato sedimentario del fiume.
Gli oggetti erano situati ad una profondità di dieci metri e coperti da una dura crosta sabbiosa; furono inviati per ulteriori esami all’Istituto Archeologico di Napoca. Qui fu rimossa la crosta sabbiosa e i fossili vennero identificati come il frammento di un osso articolare e il dente molare di un giovane mastodonte, antenato dell’odierno elefante, vissuto fino a un milione di anni fa. Il terzo oggetto, lungo venti centimetri, risultò costituito di metallo e presentava due fori artificiali di diametro differente.
Nella parte più bassa del foro più largo si notava una deformazione ovale, probabilmente causata da un’asta adattata al suo interno. La superficie e il lato superiore mostravano tracce di ripetuti colpi con un oggetto di maggiore resistenza. Tutti i dettagli indicavano che l’oggetto era stato parte di un meccanismo.
I test metallurgici servirono solo a incrementare il mistero. Le analisi fatte dal Dottor Niederkorn dell’"Istituto Ricerche sui Metalli non Ferrosi e Oro", di Magurlele, in Romania, evidenziarono che l’oggetto era costituito da una lega composta da dodici metalli diversi.
Oltre all’alluminio, contenuto nella misura del 89%, furono identificati anche Rame, Silicio, Zinco, Piombo, Stagno, Cadmio, Nichelio, Cobalto, Bismuto, Argento e tracce di Gallio.
È noto che l’alluminio si trova in natura solo in forma aggregata. Scoperto nel 1825, da H.C. Oersted, fu ottenuto mediante sistema elettrolitico da minerali grezzi allo stato fuso a temperature oscillanti fra 950 e 970 gradi Celsius (1742-1778 gradi Fahrenheit). La sua produzione industriale avvenne solo alla fine dell’ottocento.
Questo fatto basta da solo a confermare l’eccezionalità del reperto. In realtà uno dei suoi aspetti più insoliti è la presenza di una spessa pellicola di ossido d’alluminio in superficie. L’ossidazione deriva dall’assorbimento di ossigeno o dalla rimozione di elettroni.
Normalmente l’alluminio esposto all’aria forma uno strato di ossido che lo rende più resistente alla corrosione. Attraverso questa azione ogni altra ossidazione viene bloccata.
La pellicola ossidata, riscontrata sull’oggetto in questione, risultò con uno spessore oltre un millimetro, cosa che non è stata osservata in nessun altro caso. Un tale spessore è giustificabile solo nel caso l’oggetto abbia un’età di centinaia di migliaia di anni, fatto letteralmente inconcepibile.
Uno degli analisti scrisse a riguardo: " È incredibile, ma l’alluminio sembra avere una struttura alterata, come se gli altri elementi della lega siano ritornati alla loro propria forma cristallina".
Nessuno degli specialisti, archeologi, paleontologi, ingegneri, che investigarono, furono in grado di identificarne la funzione.
Fu un ingegnere aeronautico a suggerire l’interessante ipotesi che l’oggetto fosse simile ad una piastra di atterraggio di un aereo non molto grande che, come l’Aquila lunare o il Viking, intende atterrare dolcemente sul terreno.
Le evidenze che supportano questa ipotesi si riscontrano, non solo nella forma, ma anche nei due fori, probabilmente punti di attacco di gambe d’atterraggio; nelle tracce di graffi sul lato sottostante e sugli orli; nonché per il materiale di alluminio, usato proprio per la sua leggerezza nell’ingegneria spaziale e aeronautica.
Non sappiamo se è stato rinvenuto qualcosa di consistente durante gli scavi. I resoconti parlano di altri resti dell’oggetto persi, purtroppo, durante la campagna archeologica.
Qualche frammento dell’oggetto è stato in possesso del Dr. F. Gheroghita, il quale ha effettuato alcune analisi elettrotecniche nel 1974. I risultati sono riportati nel libro "Enigme in Galaxie" del 1983, pubblicati nella rivista Svizzera "Jupiter Journal" n. 8 del 1990, e ne ha parlato ancora E.Von Daniken, nel 1995, in "Fremde aus dem All". Secondo il Dr. Gheorghita l’oggetto non è stato fabbricato nel Pleistocene, né da nostri antenati e, con molta probabilità, non sul nostro pianeta.
Gheorghita ha ricevuto due foto a colori dell’oggetto da un appassionato "Indiana Jones" che avrebbe riscoperto l’oggetto in un magazzino del Museo Archeologico di Cluj-Napoca.
Secondo quanto riportato dalla rivista Ancient Skies, del settembre 1992, la scoperta di reperti associabili a velivoli nella preistoria venne annunciata il 26 giugno 1977, anche in un articolo a firma di John Payne (ho tentato di rintracciare Payne ma senza successo n.d.a.) su di un quotidiano australiano che titolava: "Trovati in una miniera ma sono dell’altro spazio?"
L’articolo descriveva tre perfette forme discoidali trovate sepolte in una miniera di carbone del Sud Australia che stavano sconcertando i geologi. Del diametro di un metro e settanta, erano state trovate in uno strato risalente a milioni di anni fa ed inizialmente scambiate per smisurate conchiglie fossili. Un esperto marinaio di Adelaide, Michael Latrie, dichiarava di non aver mai visto nulla di simile e che i reperti possedevano "l’identico aspetto del ferro e dell’acciaio rimasti sepolti per lunghissimo tempo".
Il giornale continuava: "Gli scienziati che si sono occupati della scoperta credono che il deposito di carbone dove sono stati trovati sia stato consumato da una fiammeggiante meteora migliaia di anni fa. Questa teoria si lega ad una leggenda degli aborigeni, che parla dell’atterraggio, molto tempo fa, di un gigantesco aereo giunto dal paradiso. Gli uomini dell’aereo accesero un enorme fuoco per segnare il loro arrivo. Forse era una sonda inviata sulla Terra da una nave madre."
Alcuni ricercatori ipotizzarono si trattasse di "Landing Pads" (piedi di atterraggio) di una antichissima navicella spaziale; della stesa opinione il Dr. David Stewart, un architetto che ha prestato servizio nella "Royal Air Force".
Quanto finora scritto ci induce a considerare che nell’antichità il volo era già noto.
Dalla documentazione rinvenuta emerge che una civiltà precedente impiegava una tecnologia avanzata, acquisita forse attraverso millenni di esperienze, oppure introdotta da una civiltà giunta dal cosmo.
Ho già avuto modo di scrivere che questo fenomeno si riscontra in tutta quella letteratura storico religiosa che menziona carri di fuoco e descrive le apparizioni di "travi lignee", "scudi volanti", "croci di fuoco".
Perfino nell’Odissea si descrivono navi con piloti automatici, quelle dei Feaci, che erano in grado di trasportare Ulisse fino a Itaca e fare ritorno a Corfù nello stesso giorno, senza sbagliare o essere ritardate da tempeste o dalla nebbia, in quanto, come scritto dall’autore, "dotate di una propria intelligenza".
Reperti che presentano una realtà diversa da quella raccontata o immaginata, in contrasto con le teorie convenzionali riguardanti l’evoluzione della specie umana, vengono sistematicamente nascosti.
Si celano nei sotterranei di qualche museo, mescolandoli con altri reperti di epoche diverse; oppure si sotterrano di nuovo dove sono stati rinvenuti, dopo aver destinato lo scavo ad altri usi.
Si forniscono spiegazioni errate per nascondere verità non sempre in linea con la storia scritta dell'umanità e si impediscono pubblicazioni che rivelino le reali datazioni dei reperti. Si operano pressioni sugli autori del ritrovamento e nei riguardi dei loro sostenitori.
Non resta che chiedersi quale valido aiuto potrebbero fornire queste scoperte, oppure, di contro, quali e quanti reperti hanno già fornito tale aiuto, nel più assoluto e silenzioso riserbo