Chi
nel secolo scorso fornì una prima rilettura della storia evolutiva
dell’uomo, rispetto i normali canoni classici, imposti dalla
teologia, fù sicuramente Charles Darwin.
Fino
al XIX secolo gli uomini non s’interessarono molto alla loro
"preistoria". Solo pochi scienziati erano convinti
dell’esistenza dell’uomo preistorico.
E
ciò nonostante i numerosi ritrovamenti di fossili umani e di selci
scheggiate in varie zone d’Europa, ma soprattutto nella valle di
Neander (presso Düsseldorf, Germania), dove nel 1856 si rinvenne un
cranio dalla forma inconsueta e alcune ossa umane, cui fu poi
attribuito il nome di "uomo di Neandertal".
Nel
1859 Charles G. Darwin, celebre naturalista inglese, pubblicava
L’origine delle specie per selezione naturale dove esponeva la sua
teoria sull’evoluzione: le specie si trasformano progressivamente,
soprattutto per adattarsi ai cambiamenti del loro ambiente naturale
ed evitare così il rischio d’estinzione. Ma la scottante
questione dell’origine animale dell’uomo non veniva affrontata.
Nel
1871, in un’altra opera, L’origine dell’uomo e la selezione
sessuale, Darwin indicava l’Africa quale culla dell’umanità.
Darwin,
con il suo libro, nel 1859, “L’origine della specie”, pose le
basi per affrancare dalla natura divina la nascita di tutte le
creature viventi, proponendo una tesi più “casuale”, composta
dall’intervento di mutevoli condizioni climatiche, di habitat e di
relativi bisogni crescenti, che avrebbero condizionato le specie
viventi capaci di mutare insieme a questi elementi e quindi di
vincere la lotta per la sopravvivenza. Da questo punto a considerare
la scimmia come antico progenitore dell’uomo il passo è alquanto
breve e sicuramente molto logico e rassicurante.
Naturalmente
Darwin e la sua teoria, subito appoggiata dagli scienziati,
dovettero, nelle varie sedi di dibattito, subire più di una
confutazione e persino scherni da parte dei teologi, religiosi e
non: il vescovo Wilberforce, ad un evoluzionista convinto, rispose
chiedendogli se la sua parentela con le scimmie era per lato materno
o paterno!!
Ma,
nonostante ciò, la teoria darwiniana, in poco più di una decina
d’anni, prese il sopravvento, e venne considerata, dagli studiosi
ortodossi e non, dogma infallibile, alla stregua della teoria
galileana che vede la Terra orbitante intorno al Sole.
Dopotutto,
la teoria di Darwin rispondeva esattamente alla visione che aveva
l’uomo di se stesso, in quel particolare periodo dell’epoca
vittoriana: dominatore incontrastato del mondo ed essere superiore a
tutti gli altri.
Darwin
sosteneva che le specie fossero state capaci, nel corso dei
millenni, di evolversi attraverso un numero infinito di forme
intermedie, instaurando uno stretto rapporto con l’ambiente
circostante e le problematiche ad esso connesso.
Naturalmente
lo stesso Darwin si rendeva conto che tali impercettibili e continui
cambiamenti avrebbero dovuto dar luogo, nel corso dei secoli a
divenire, anche al ritrovamento di numerosi fossili che stessero a
dimostrare l’effettivo avverarsi di tali mutamenti. Un esempio per
tutti: se il collo lungo della giraffa è dovuto ad un’evoluzione
della specie atta a procacciarsi cibo posto sempre più in alto,
sarebbe logico presupporre di trovare anche fossili che stessero a
dimostrare questi stadi intermedi del passaggio fra un collo di
lunghezza normale ed un collo spropositato, com’è riscontrabile
oggi nelle comuni giraffe.
E
invece niente di questo è mai accaduto.
Darwin,
ben lungi da essere, come molti altri studiosi e sostenitori di
varie teorie, intransigente oltre ogni umana dimostrazione di
caparbietà, era ben conscio dell’effettiva imperfezione delle
tracce paleontologiche e, anzi, più di una volta, nei suoi studi,
si augurò l’effettivo ritrovamento di questi fossili
“intermedi”.
Comunque,
di là dai dubbi dello stesso Darwin, le sue teorie furono subite
accettate dalla comunità scientifica, che in breve tempo riscrisse
tutta la cronologia dell’evoluzione umana.
In
brevi cenni, lasciando l’approfondimento di tali temi ad altre
pubblicazioni, la scienza odierna fa risalire la comparsa dei primi
ominidi a circa quattro milioni d’anni fa, in Africa centrale,
dove una specie di primati, abituati sino ad allora ad abitare fra
alberi e foresta, avrebbe sentito, in un non meglio precisato
momento storico della loro esistenza, il bisogno di lasciare il
confortevole e, per certi versi, molto più sicuro ambiente della
foresta, per addentrarsi nella savana; la necessità di guardare
oltre le erbe alte della savana e di rifuggire dai predatori avrebbe
innescato il processo evolutivo che portò questi primi ominidi a
passare dalla naturale andatura a quattro zampe all’andatura
eretta, andandosi a perfezionare sempre più sino ad arrivare alla
nostra attuale condizione. Dall’Africa l’uomo si sarebbe poi
espanso in tutta l’area europea e asiatica.
Lo
scienziato tedesco Ernst Haeckel riteneva, invece, che le grandi
scimmie del Sud-est asiatico (il gibbone e l’orango) fossero assai
più vicine all’uomo delle grandi scimmie africane. Con sua gran
soddisfazione, un giovane medico olandese, Eugène Dubois, suo
appassionato lettore, scoprì a Giava nel 1891 dei resti d’uomini
fossili che battezzò "pitecantropi" (uomini-scimmie).
Altre
scoperte eccezionali furono fatte dopo la prima guerra mondiale:
dapprima vennero riportati alla luce nei pressi di Pechino i famosi
resti di sinantropi, i cui denti, detti “denti del drago”,
venivano venduti com’elementi di medicina alternativa, seguiti
dalla scoperta del primo esemplare africano, un cranio d’australopiteco
la cui descrizione fu pubblicata a Londra il 7 febbraio 1925 sulla
rivista Nature. Queste scoperte segnano l’inizio di una
straordinaria vicenda paleontologica, di cui l’Africa sarà il
terreno privilegiato.
Il
ritrovamento, nel 1974, del famoso ominide, cui venne assegnato il
nome di Lucy, risalente a circa 3,5 milioni d’anni fa, è stato
accolto dalla scienza come la prova dell’esistenza del cosiddetto
anello di congiunzione fra un essere avente caratteristiche fisiche
prettamente relative ad un habitat arboricolo e il primo elemento
evoluzionistico che avrebbe portato alla nostra specie.
Nel
corso di una spedizione internazionale diretta da Yves Coppens,
Donald Johanson e Maurice Taieb, furono scoperti a Hadar (Etiopia)
cinquantadue frammenti ossei, corrispondenti al 40% dello scheletro
di un antenato dell’uomo. L’Australopithecus afarensis,
denominato Lucy (da una canzone dei Beatles), è il più completo
degli australopitechi finora conosciuti.
Gli
Etiopi l’hanno chiamata "Denkenesh" ("Sei
magnifica").
Lucy
era ancora molto piccola: la sua statura non superava il metro e 10
cm (all’incirca quella di un bambino di sei anni), e non pesava più
di una trentina di chilogrammi. Anche il volume del cervello è
modesto: con i suoi 340 cm³ è paragonabile a quello di uno
scimpanzé adulto di piccola mole. Da uno studio delle ossa del suo
scheletro risulta che Lucy camminava in posizione eretta e poteva
ancora arrampicarsi sugli alberi.Di fatto, Lucy ha ben poco
d’umano.
Nonostante
ciò, ritrovamenti fossili danno l’impressione che non solo in
Africa, ma anche in varie parti del mondo, siano esistiti ceppi
umani non solo dalle caratteristiche fisiche già molto più evolute
della cara Lucy, ma, addirittura, con capacità manufattiere, data
la gran mole di strumenti in pietra, mortai con pestelli, armi in
selce, ritrovati in loco. Soprattutto pare che queste specie umane
siano molto più remote della stessa Lucy. Infatti, Elwyn Simons nel
1965 ha scoperto in Egitto il cranio quasi intatto di un primate
considerato l’antenato comune di uomini e scimmie, risalente a
circa 30 milioni di anni. Com’è possibile tutto questo?
Immagine:
Elwyn Simons ed il suo cranio di primate.
La
scienza ufficiale, per affrontare tale tematica, adotta una linea
sostanzialmente fondata su questi elementi: a) sistematica non
considerazione di tutti quegli elementi, fossili di ossa e
strumenti, che non rientrano nei canoni; b) ampio discredito di tali
ritrovamenti confutandone la veridicità o assegnandoli ad un errato
periodo storico; c) speranza di ritrovare i cosiddetti “anelli di
congiunzione” che vadano a colmare i vuoti storici e possano
annullare le indicazioni di questi “strani fossili”.
Sempre
la stessa scienza non ammise, inizialmente, che in Europa, Asia ed
America, questi ceppi pre-umani siano potuto esistere
indipendentemente dalle origine presunte africane, ed in periodi di
molto anteriori alle datazioni storiche.
Eppure
quei fossili sono lì a muta testimonianza di come l’uomo abbia le
sue origini, non solo molto più anticamente, ma anche in diverse
parti del globo, in tempi più o meno simili.
Come
spiegare questa similitudine temporale?
Se
la scienza accettasse l’esistenza di tali fossili in tutto il
mondo sicuramente ridurrebbe il tutto alla famosa teoria della
“coincidenza storico culturale”, teoria che, secondo gli
studiosi, basta a spiegare come mai, in varie parti del mondo, circa
11000 anni fa, pare svilupparsi, all’unisono, l’agricoltura;
come mai in varie parti del mondo nascono culture con eguali
conoscenze architetturali ed astronomiche, pur non avendo possibilità
di contatto; come mai culture di popoli lontani fra di loro, è il
caso di dirlo, mari e monti, tramandano miti, leggende e credenze
religiose simili.
Per
l’autore, la fondatezza di questa teoria è come voler sostenere
la capacità di una vincita al totocalcio senza prendere in esame la
schedina: quante sono le possibilità?
Non
molte sicuramente e basterebbe proprio un calcolo matematico per
appurare ciò.
Eppure
proprio la matematica ed il calcolo, elementi alla base delle
condizioni scientifiche, sono apertamente ignorate, con questa
teoria, dalla scienza ufficiale, che, per una volta, su tale
problematica pare abbandonare il lato raziocinale della questione,
per appropriarsi di una tematica prettamente “coincidenzionale”.
Guai
a concedersi a teorie che, seppur non basate su voli pindarici, ma
su dati di fatto, non siano conformi alla dottrina scientifica
esistente: le sue vendette possano avere effetti devastanti.
E’
quanto ha provato sulla sua pelle Thomas Lee, uno storiografo del
Museo di antichità di Toronto.
Lee
effettuò, infatti, alcuni scavi in Canada, vicino al lago Ontario,
dove trovò quello che erano, senza ombra di dubbio, tracce di un
insediamento urbano, sotto forma di utensili in pietra, che, dato la
loro complessità ed ottima lavorazione, apertamente stavano ad
indicare che in quel luogo aveva vissuto una società dalle
insospettate capacità manufattiere.
Il
problema era che questi reperti parevano essere databili in un arco
di tempo che variava fra i 65000 e i 125000 anni fa.
Il
tutto faceva naturalmente a pugni con le dottrine scientifiche
esistenti che relegano il popolamento del continente americano a
circa 10000 anni fa, allorché l’esistenza di un ponte di
ghiaccio, dove odiernamente vi è lo Stretto di Bering, consentì
l’afflusso di alcuni ardimentosi dall’Asia all’America.
Conseguenza
di tali ritrovamenti e del sostenere la teoria di un’errata
interpretazione storica della presenza dell’uomo in America, fù
la perdita del lavoro per lo stesso Lee, mentre il luogo di tale
ritrovamenti divenne un complesso turistico!!
Eppure,
quasi che volessero essere uno strano scherzo del destino, ecco che
ogni giorno misteriosi reperti fossili sorgono dalle profondità
della terra, creando sempre più disperazione fra i sostenitori
della causa ortodossa scientifica, tanto da indurli ad ignorarli
semplicemente, quasi non fossero reali. Vogliamo fare dei brevi
esempi?
Impronte
fossili umane sono rimaste impresse su formazioni rocciose
antichissime, numerosi manufatti sono stati rinvenuti in strati
geologici "impossibili", anteriori all’era dei
dinosauri, oltre 300 milioni di anni fa. Ci sono scheletri di razze
umane sconosciute, e strumenti tecnologici dalla fattura moderna. Su
tutto questo è calato il più assoluto silenzio, a causa del
cosiddetto filtro culturale, o forse per insabbiamento intenzionale.
Vediamo una rassegna dei reperti più importanti.
SCHELETRI
DI HOMO SAPIENS (classificati secondo l’ordine cronologico di
ritrovamento).
1)
Ossa di Homo Sapiens rinvenute a Brescia dal geologo Giuseppe
Ragazzoni in strato del Pliocene (3-4 milioni di anni), nel 1860.
2)
Scheletro completo di Homo Sapiens, scoperto in un bacino
carbonifero risalente ad almeno 300 milioni di anni, presso
Macoupin, in Illinois. (Fonte: The Geologist, 1862).
3)
Femore anatomicamente moderno trovato sull’Isola di Giava nel
1894. Venne erroneamente associato ad un teschio di ominide
primitivo a formare un fantomatico miscuglio che prese il nome di
Homo Erectus, caposaldo ormai incontestabile della nostra linea
evolutiva.
4)
Scheletro umano venuto alla luce casualmente, in una miniera
italiana (probabilmente decine di milioni di anni).
5)
Scheletro completo di Homo Sapiens moderno a Olduval George, in
Tanzania, fossilizzato in strato di 1-2 milioni di anni, rinvenuto
dal Dott. Hans Reck nel 1913.
2. Omero e femore di uomo attuale, in Kenia, datati rispettivamente
4 e 2 milioni di anni (1965, 1972, documentazione ufficiale).
6)
Cranio di ominide dalle caratteristiche controverse, scoperto
dall’antropologo Richard Leakey in Kenia (1972). Presentava una
capacità cranica inaspettatamente alta, con una forma facciale
primitiva, e la stima dell’età oscillava tra 2,6 e 1,8 milioni di
anni. Nonostante la sua classificazione come Homo Habilis,
quest’ominide non può appartenere alla linea evolutiva originata
dall’Australopitecus (Fonte: Origins, di Leakey e Lewin). Crani
con le stesse capacità sono stati trovati in Perù, a Merida (vedi
immagine sotto).
7. Impronte di piede di diversi esemplari di Homo Sapiens su ceneri
vulcaniche fossili, a Laetoli in Tanzania, risalenti a 3,6 milioni
di anni fa. Scoperte nel 1979 da Mary Leakey, furono erroneamente
attribuite all’Australopitecus.
Immagine:
l'impronta di homo sapiens, ritrovata da Mary Leakey nel 1979.
Pur
non volendo ammettere l’esistenza di tali fossili, bisogna pur
sempre ammettere che la teoria darwiniana e la sua conseguente
applicazione nel campo dell’evoluzione umane pare fallace in
alcuni punti
La
dottrina scientifica spiega con la cosiddetta “teoria della
savana” l’inizio di quel grande processo evolutivo che ha
portato alcune specie di primati a diventare quello che siamo oggi:
l’Homo Sapiens.
Secondo
tale teoria alcuni primati, costretti da una diminuzione, a causa di
vari effetti, dell’ambiente originario boschivo e quindi da
un’effettiva riduzione delle risorse alimentari, si sarebbe spinto
nelle aperte savane, lasciando così un luogo, le foreste, che sino
ad allora, non solo aveva fornito cibo, ma anche una discreta
protezione. Da qui questi primati si sarebbero evoluti sino a
raggiungere uno status vitae che avrebbe permesso loro di dominare
l’ambiente circostante e di affermare la loro superiorità.
Orbene,
è ben noto come gli stessi scienziati affermino che l’uomo (in
tutte le sue forme, dai primati al moderno) difficilmente avrebbe
potuto coesistere con i dinosauri, visto che alcuni di questi,
spietati carnivori e cacciatori, avrebbero sicuramente superato in
mole ed “armamento” pur prodi cacciatori umani (figurarsi
primati), costringendo gli stessi esseri umani a condizioni abbiette
di vita che mal si concilierebbero con uno sviluppo sia evolutivo
che sociale.
Fatta
quest’osservazione, bisogna constatare che questi nostri antichi
antenati, abbandonando la foresta, dovettero per forza avventurarsi
in un mondo ostile, dove primeggiavano i grandi predatori come leoni
e iene, ed altri animali carnivori. Questi primati, secondo la
scienza, avrebbero maturato, col trascorrere del tempo, le capacità
evolutive atte ad aiutarli contro le problematiche dell’esistenza:
un andamento eretto, l’aumento della massa cerebrale, la perdita
progressiva del pelo.
Ora,
i quesiti che derivano dall’osservazione sopra fatta sono i
seguenti: ammesso la veridicità della “teoria della savana”,
sarebbe stato maggiore il tempo occorso ai quei coraggiosi primati
per incominciare e portare a termine la loro evoluzione, o alle
bestie della savana per fornirsi di un lauto banchetto?
Perché
assumere un andamento eretto quando, allo scopo di rifuggire ad un
attacco di un predatore, sarebbe sicuramente più adatta una corsa
su quattro zampe, in termini strettamente di velocità e di
dispendio di forza?
Perché
la perdita del pelo, che avrebbe potuto riparare dal calore del sole
di giorno e dal freddo la notte, essendo le savane, come i deserti,
luoghi di forti escursioni (in termine di temperature) giornaliere?
Quando
avrebbero, questi primati, incominciato ad evolversi? In presenza
delle difficoltà nate nelle savane, o prima, nel loro habitat
naturale, la foresta, come una sorta di training autogeno?
Come
mai l’esempio di questi primati non fù seguito da tutti gli
esemplari di questa razza, dato che una gruppo, animale od
umano che sia, tende sempre ad evolversi interamente?
E
perché proprio questa razza di primati? Le problematiche della
fame, componente essenziale per la nascita della componente
evoluzionistica, non erano uguali per tutti gli animali?
Eppure,
pare che nel corso dei secoli le razze animali non abbiano subito
particolari evoluzioni, anzi, alcune di esse sono arrivate sino ai
giorni nostri senza subire mutazioni.
Infatti,
le razze animali paiono sorgere dal nulla, visto che non si
riscontrano fossili che testimonino passaggi evolutivi da forme
molto più primitive.
Ancora
più importante è l’analisi di due caratteristiche che ci
differenziano dagli stessi animali: il modo di respirare e la
capacità di parlare.Tali caratteristiche ci differenziano di gran
lunga dagli altri animali terrestri e, se consideriamo veritiera
l’affermazione che l’evoluzione di una specie sia in gran parte
dovuta all’habitat in cui tale specie viene ad interagire,
dovremmo, per forza di cosa, cercare un ambiente diverso dalla
teorica savana, come luogo di origine della nostra evoluzione.
Come
tutti i mammiferi noi respiriamo, questo è abbastanza lapalissiano,
ma mentre gli altri mammiferi sono capaci di bere e respirare
insieme, noi possiamo solo fare una delle cose contemporaneamente; a
differenza degli altri mammiferi, però, noi respiriamo con naso e
bocca, questo grazie ad un organo chiamato laringe discesa.
Le
altre razze mammifere hanno trachea ed esofago separati, quindi
bocca e naso, cosa che permette loro di bere e respirare
contemporaneamente. L’uomo, al contrario, ha la trachea posta
nella gola, la cui parte iniziale si chiama laringe discesa.
Naturalmente il cibo deve essere introdotto nell’esofago senza
passare nella trachea, onde rischiare un soffocamento (potremmo dire
di essere imperfetti nella perfezione)
La
caratteristica della laringe discesa, assente come abbiamo visto
negli animali terrestri, è presente invece in animali acquatici
come balene, foche, dugonghi, poiché permette loro di respirare con
la bocca, espellendo o trattenendo contemporaneamente grandi quantità
di aria, consentendo tempi di immersione più lunghi.
Quindi
potrebbe essere riletta l’affermazione che alcune nostre
caratteristiche si siano evolute in un ambiente completamente
diverso, come quello della savana, ed inserire il tutto in un
contesto differente, quello acquatico, magari composto da un habitat
formato da paludi, o lagune.
In
effetti, un mammifero terrestre , con caratteristiche simili alle
nostre, cioè andamento eretto e , contemporaneamente, capacità di
una vita arbicolare, esiste ed è la cosiddetta scimmia con la
proboscide, presente in alcune parti del Borneo. Essa si comporta
come un primate allorché è sugli alberi, ma, allorché ne
discende, preferisce i corsi fluviali e le paludi, dove assume
un’andatura eretta, in presenza di acqua bassa, mentre, in acque
alte, è capace di nuotare.
Ora,
senza voler cadere in discussioni anatomiche lunghe e noiose,
l’autore vi chiede una semplice considerazione, in virtù della
discussione affrontata in precedenti articoli presentati su questo
sito dallo stesso autore:è casuale che molti dèi (Oannes, Orejona,
i misteriosi Kappas ed altri ancora), procreatori della razza umana,
avessero non solo un’origine extraterrestre, ma anche
caratteristiche acquatiche (sorgevano e abitavano nei laghi, fiumi,
mari ed erano vestiti di squame ed altro)?
Il
controllo della respirazione ci permette di usufruire di un’altra
caratteristica prettamente umana, assolutamente da non confondere
con quello che può essere il latrato del cane, il verso della
civetta, l’ululato del lupo ed altri caratteristici versi animali:
l’uso della parola, della vasta gamma di suoni fonetici,
attraverso i quali ci esprimiamo.
Oltretutto
l’essere umano pare privo di quella sequenza genetica , detta
“del babbuino”, che pare presente in tutti i primati africani,
mentre è completamente assente dai primati asiatici ed americani.
Alla
luce di questi elementi possiamo ben sostenere l’ipotesi che la
teoria darwiniana, se non completamente errata, è, almeno, da
considerare fallace in numerosi punti e che la teoria della savana
è assolutamente impossibile per l’uomo, ma non per una razza di
primati (da cui discenderebbe Lucy) con cui lo stesso uomo ha ben
poco da dividere.
Nel
passato sono stati fatti goffi tentativi di sopperire a tali
mancanze creando “ad arte” l’uomo di Piltdown, cui gli
scienziati in un primo momento inneggiarono salvo poi ricredersi
quando vennero a conoscenza che altro non era che un falso, mentre
oggi si legge di un generico Homo habilis, di cui, però, in
effetti, non si sono trovate tracce.
Probabilmente
l’uomo si è evoluto nelle sue varie forme sino a giungere alla
nostra forma attuale, in un ‘epoca di molto anteriore a quella
classica considerata, convivendo in alcuni periodi storici con forme
di primati in via anch’esse di evoluzione, ma in una scala
gerarchica inferiore rispetto all’uomo stesso. Quando questi primi
primati, erroneamente ricondotti alla progenie umana, incominciavano
labili forme di evoluzione, l’uomo era già capace di costruire ed
utilizzare attrezzi in selce, facendo in modo così di poter
sopravvivere alla naturale selezione di vita.
A
questo punto rimarrebbe solo da capire da dove e da cosa proveniamo.
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