Da
quando il genere umano è apparso sul pianeta terra, con lui è
emerso anche il “Mistero”: da dove proviene l’uomo? Qual è lo
scopo della sua esistenza? Perché è così diverso dagli altri
esseri viventi? Per darsi una risposta l’uomo interpreta una sua
percezione ed una logica: se il creato è un meccanismo così
perfetto, ancora più perfetto del meccanismo di un orologio, deve
pur esserci un creatore, un orologiaio dalle potenzialità
vastissime. Ogni nuovo tentativo di dare delle soluzioni al
“Mistero” impone nuove domande: chi è questo Creatore?
Da
dove proviene? È solo frutto di una fantasia? Esiste realmente?
Perché non si fa conoscere?Anche dando per scontata l’esistenza
del divino, nuove questioni ancora più complesse si fanno strada:
come stringere un rapporto con questa divinità? Cosa vuole
dall’uomo? Come può l’uomo sviluppare le capacità per
conoscerla? Dalla filosofia, alla religione, dal pensiero
superstizioso popolare a quello tecnico-scientifico l’uomo ha
versato fiumi di inchiostro per tentare di dare risposta a
tutto questo.
Da
una parte la religione che dogmaticamente afferma l’esistenza
della divinità. Dio esiste, secondo le sue tesi, e l’uomo deve
sottostare alle sue leggi. Chiunque non adempie a tali prescrizioni,
conoscerà il castigo a lui riservato. La religione diventa un mezzo
per non incorrere in un tremendo giudizio finale. Molte sette
cristiane usano questa tecnica di marketing per accaparrarsi adepti:
alimentando la paura delle conseguenze, esalti le qualità del
rimedio. Sfogliando le loro riviste è facile trovare dei dipinti
simili a quelli del Dorè: uomini e donne ardono nel fuoco
infernale, fra dolori e pene indicibili. Alla fine dell’articolo,
invece, un dipinto completamente diverso: un giardino meraviglioso
con un monte innevato in lontananza e dei bambini sorridenti che
giocano. Sotto, una didascalia: vuoi vivere anche tu per mille anni
in un paradiso terrestre? Sotto ancora l’indirizzo della setta.
La
filosofia, a sua volta, ha prodotto così tante ipotesi da perdersi
nel labirinto del teorismo. Spesso i discorsi filosofici, invece di
avere come obiettivo l’indagine del Vero, diventano degli show di
oratoria.
La
scienza, a sua volta, dimenticandosi l’importanza del postulato
teorico, sempre più somiglia alla religione nel dogmatizzare e nel
divulgare certezze. La determinazione di alcuni “no” scientifici
sembra animata dalla stessa forza del sacerdote che caccia il
demonio con l’acqua santa.
Eppure,
talvolta, tra queste grandi “scuole” di pensiero emergono
individui che riescono a gettare le fondamenta per considerazioni più
vaste. Persone che non rimangono fra le maglie della difesa estrema
delle loro idee, solo perché loro. Servitori della conoscenza più
che del proprio merito. Tra essi possiamo individuare Religiosi che,
pur rimanendo esteriormente fedeli al proprio clero, ne vedono i
difetti e portano avanti, forse nascostamente, idee più estese.
Troviamo anche Filosofi del vivere, più che del puro pensare, che
hanno compreso il limite di un pensiero che pensa se stesso.
Vi
troveremo anche molti Scienziati che sentono il limite di ciò che
conoscono, senza gonfiarsi di orgogliose certezze. Non per forma o
vezzo intellettuale affermano ciò che Nietzsche diceva nel XIX
secolo: “…E’ un giusto giudizio dei dotti che gli uomini di
tutti i tempi abbiano creduto di sapere che cosa sia giusto e cosa
non lo sia, degno di lode e di biasimo. Ma è un pregiudizio dei
dotti che noi adesso lo sappiamo meglio di qualsiasi altro
tempo…”
Per
entrare nello specifico, fra questi Grandi, possiamo annoverarvi
anche George Ivanovich Gurdjieff.
Egli
nasce nel 1869 ad Alexandropol (Armenia russa) da una famiglia di
origini umili. In quell’ambiente difficile si pone, sin da
giovanissimo, quelle domande che attanagliano l’uomo da
sempre. Quando raggiunge un’età sufficientemente matura abbandona
la sua famiglia e inizia una ricerca che lo porterà in molte
città del Medioriente, negli stessi luoghi dove Gesù e Maometto
hanno camminato, spingendosi ancora più a Est, nei luoghi del
Buddha.
Entra
in contatto con piccoli gruppi, scuole di pensiero fra il filosofico
ed il religioso, e individua dietro esse un corpus fondamentale di
conoscenze. Comprende che le religioni, nel loro aspetto
originario e non corrotto dalle interpretazioni successive, oltre a
darsi spiegazioni teologico-cosmogoniche avevano obiettivi
pratici per lo sviluppo dell’uomo. Una sorta di conoscenza
concreta, applicabile da chiunque ne avesse padronanza e che avrebbe
permesso di sviluppare nuovi livelli di coscienza. Gurdjieff,
liberandosi dal solo teorismo, si getta nella sperimentazione di
questi sistemi, passando da Maestro a Maestro e raccogliendo
esperienze.
Dopo
anni di questo “apprendimento” egli affermerà: “Che cos’è
la Coscienza Divina? È un livello troppo alto e teorico per
l’uomo che non riesce ad avere coscienza di se stesso e del
presente! È necessario, innanzitutto, imparare ad essere più vivi
qui, nell’unico mondo che conosciamo (quello materiale). Come può
l’uomo del terzo millennio, sempre più simile ad una macchina che
ad un individuo, porsi la questione del Trascendente?”
L’uomo
che non riesce a cogliere la bellezza di un sole che sorge, di una
rosa che sboccia, dell’attimo che passa come potrà mai conoscere
l’eterno? L’uomo che non conosce se stesso potrà mai essere
consapevole? Se non sei conscio della brevità della tua vita, come
sarai mai cosciente dell’eternità dell’Universo?
Il
Lavoro gurdjieffiano sull’uomo racchiude le sfere della personalità,
sia a livello emotivo che psicomotorio. È un iter, destrutturate e
ristrutturante insieme, avente come obiettivo l’acquisizione di
un’attenzione di tono più alto. Questa “attenzione” G. la
definisce meravigliosamente “Ricordo di Sé”: un lirismo poetico
che invita ad un’esistenza dove il Sé è posto al centro, dove le
dinamiche del vivere quotidiano tornano al loro giusto posto.
Ricordo
di Sé prima di tutto, ancora prima dell’altro, prima del panorama
esterno, prima della morale e dell’etica imposta. Ricordo di sé
per riconoscere quanto viviamo nella totale mancanza di percezioni
del corpo e dei processi logico- emotivi. Per percepirsi nello
spazio circostante, sentirsi prima ancora di sentire.
Su
Gurdjieff sono stati scritti numerosi articoli, testi, tesi
universitarie.
Eppure
tutte queste parole non potranno mai farci conoscere la sua capacità
di creare un’innovazione nell’anima di coloro che a lui si
rivolgevano. Vedeva le menzogne dietro le quali spesso ci si
rifugia. Possedeva l’abilità di far cadere il castello di
carta delle finte sicurezze e indicare dove lavorare per rafforzare
l’es- senza. Oggi non possiamo conoscere più la grandezza di
questo personaggio, i suoi libri ne solo un pallido riflesso.
L’Arte di comprendere i cuori è una capacità, non una dottrina
scientifica stampata in un volume.
Il
suo esempio nell’essersi messo in viaggio dovrebbe servire a noi
tutti. Perché anche se Gurdjieff è morto esistono ancora gli eredi
della Tradizione a cui faceva riferimento.
Avremo
modo di riporre i depliant dello spirito e metterci noi stessi in
viaggio? Avremo il coraggio di credere di poter trovare delle
risposte? Saranno sufficienti, a ristorarci, gli esempi dei Grandi
che questo viaggio hanno intrapreso prima di noi?
La
qualità delle nostre domande è cambiata
Rimarranno
anch’esse eternamente insolute?
Ad
ognuno la sua risposta. |