Saturnalia

 

Notte del 22 su 23 dicembre

La rinascita del mondo

 

 

Mentre l'anno volge al termine, nelle terre dell'emisfero boreale a clima temperato le notti si allungano e le ore di luce sono sempre più brevi, fino al giorno del Solstizio invernale, il 21 dicembre. Solstizio, dal latino "sol stat", "il sole si ferma" .E infatti il sole per circa tre giorni sorge sempre nello stesso punto. II respiro della natura è sospeso, nell'attesa di una trasformazione, e il tempo stesso pare fermarsi. E' uno dei momenti di passaggio dell'anno, forse il più drammatico e paradossale: l'oscurità regna sovrana, ma nel momento del suo trionfo cede alla luce che, lentamente, inizia d prevalere sulle brume invernali. Dopo il Solstizio, la notte più lunga dell'anno, le giornate ricominciano poco alla volta ad allungarsi. Come tutti i momenti di passaggio, Farlas è un periodo carico di valenze simboliche e magiche, dominato da una costellazione di miti e di simboli, echi ancestrali di un passato lontanissimo e dei quali abbiamo ormai perso il significato originario. E tuttavia, nelle moderne celebrazioni natalizie e di fine anno è ancora possibile discernere i simboli di tradizioni primordiali sotto la loro attuale veste, cristiana o consumistica che sia. Cerchiamo per un attimo di immaginare come viveva l'antica umanità questo periodo dell'anno, in epoche prive della tecnologia moderna e nelle quali buio e gelo erano sinonimi di fame e morte. Dalla Siberia alle Isole Britanniche, passando per l'Europa Centrale e il Mediterraneo, era tutto un fiorire di riti e cosmogonie che celebtavano le nozze fatali della notte più lunga col giorno più breve. Due temi principali si intrecciavano e si sovrapponevano, come i temi musicali di una grande sinfonia. Uno era la morte del Vecchio Sole e la nascita del Sole Bambino, l'altra era il tema vegetale che narrava la sconfitta del Dio Agrifoglio, Re dell'Anno Calante, ad opera del Dio Quercia, Re dell'Anno Crescente. Un terzo tema, forse meno antico e nato con le prime civiltà agrarie, celebrava sullo sfondo la nascita-germinazione di un Dio del Grano... Se il sole è un dio, il diminuire del suo calore e della sua luce è visto come segno di vecchiaia e declino. Occorre cacciare l'oscurità prima che il sole scompaia per sempre. Le genti dell'antichità, che si consideravano parte del grande cerchio della vita, ritenevano che ogni loro azione, anche la più piccola, potesse influenzare i grandi cicli del cosmo. Così si celebravano riti per assicurare la rigenerazione del sole e si accendevano falò per sostenerne la forza e per incoraggiarne, tramite la cosiddetta "magia simpatica" la rinascita e la ripresa della sua marcia trionfale. L'inverno era pericoloso, non solo per il freddo e la scarsità di cibo, ma anche perche vagavano sulla terra spiriti di defunti, vampiri e licantropi, entrati dal varco che si era aperto alle calende di novembre, Samhain (l'attuale Ognissanti). In un anno di 13 mesi lunari di 28 giorni ciascuno, resta inevitabilmente fuori un giorno, il giorno senza nome che rappresenta una frattura nel ciclo del tempo, il ritorno del Caos primordiale. Farlas è insieme festa di morte, trasformazione e rinascita. Il Re Oscuro, il Vecchio Sole, muore e si trasforma nel Sole Bambino che rinasce dall'utero della Dea: all'alba la Grande Madre Terra dà alla luce il Sole Dio. La Dea è la vita dentro la morte, perche anche se ora è regina del gelo e dell'oscurità, mette al mondo il Figlio della Promessa, il Sole suo amante che la rifeconderà riportando calore e luce al suo regno. Anche se i più freddi giorni dell'inverno ancora devono venire, sappiamo che con la rinascita del sole la primavera ritornerà. I Celti consideravano il sole che si levava fino alla vigilia del Solstizio un sole ombra, mentre quello vero era prigioniero di Arawn, re del Mondo-di-Sotto. Questo vero sole rinasceva dal grembo di Ceridwen, la vecchia Dea-Strega dell'inverno. Nella tradizione druidica moderna il solstizio prende il nome di Alban Arthuan, "Luce di Artù", dove il Dio Sole rinasce in questo giorno come il re Artù che dorme in una grotta segreta nelle montagne gallesi si risveglierà un giorno per portare un'epoca di pace e di prosperità. I grandi monumenti megalitici della preistoria sono testimonianze mute ma possenti di questa tradizione. A Stonehenge, il cerchio di pietre eretto in Inghilterra fra il 3100 e il 1700 a.C. il sole di Farlas sorge all'alba attraverso il trilite di Sud-Est e proprio sopra la Altar Stone, la Pietra Altare. I costruttori di dolmen e menhir possedevano una notevole sapienza astronomica e appare evidente il loro interesse per il solstizio invernale e per la posizione della luna in questo periodo: si è già visto come il Nuovo Sole era inseparabilmente legato alla Vecchia Strega lunare, regina dell'inverno. Forse i monumenti preistorici erano teatro di danze rituali in cerchio che, combinate con le energie delle grandi pietre, avevano lo scopo di rigenerare i poteri della vita. A Newgrange, in Irlanda, il simbolismo era più spettacolare: nell'enorme tumulo eretto verso il 3200 a.C., un raggio del sole che sorge all'alba del solstizio percorre esattamente un lungo e strettissimo corridoio per illuminare la piccola cella interna. Molto più tardi, i Celti narreranno che Lugh, dio della luce, era stato sepolto a Newgrange, tomba e utero della sua rinascita. Sono numerose le tradizioni che vedono nascere un dio del sole o della luce in una caverna. Il sole emerge dall'utero-caverna della Dea o, per usare un altro linguaggio, il buio è l'oscurità alchemica in cui si forma la splendente pietra filosofale. In una grotta, simbolo del cosmo stesso, nascono Dioniso, Hermes, Zeus. In Atene il rituale del solstizio erano le Lenee, la Festa delle Donne Selvagge, in cui si celebravano ad un tempo la morte e la rinascita di Dioniso. Grotte addobbate di fiori commemoravano la nascita del dio, sacrificato in precedenza come capretto dai Titani. I Cretesi uccidevano e mangiavano un toro quale sostituto di Dioniso. E come toro veniva adorato e sacrificato un altro dio solstiziale, il persiano Mithra, che nasceva il 25 dicembre in una grotta, così come grotte erano i suoi santuari di iniziazione. In Egitto era Iside a circumambulare sette volte, sotto forma di vacca aurea, l'altare di Osiride per cercare le parti del suo cadavere smembrato, raffigurando la ricerca del sole in inverno da parte della Dea. Le case erano decorate con lampade a olio che ardevano tutta la notte. A mezzanotte i sacerdoti uscivano dal santuario gridando "La Vergine ha partorito! La luce è crescente!" e mostrando un'immagine del bambino ai fedeli. La sepoltura di Osiride, il Vecchio Sole assassinato dal fratello Seth, il dio dalla testa di asino, avveniva il 21 dicembre. Il 23 Iside dava alla luce il figlio Horus, il Nuovo Sole e al tempo stesso il Signore dei raccolti. Horus e Osiride rappresentano contemporaneamente gli aspetti solari e vegetali della divinità, fondando nel loro mito i tre temi mitici di Farlas e insegnandoci che morte e vita sono inseparabili: ogni nuova nascita ci porta più vicini alla morte. Il Vecchio Dio deve venire a patti con le implicazioni di questa verità perche solo così può rinascere attraverso il figlio. Il Natale è la versione cristiana della rinascita del sole, fissato secondo la tradizione al 25 dicembre dal papa Giulio I (337 -352) per il duplice scopo di celebrare Gesù Cristo come "Sole di giustizia" e creare una celebrazione alternativa alla più popolare festa pagana dell'epoca. Il 25 dicembre infatti, quando il nuovo sole è già salito percettibilmente sull'orizzonte, era a Roma il Dies Natalis Solis Invicti, la festa in onore del Sole Invincibile istituita dall'imperatore Aureliano per celebrare il sole quale manifestazione della divinità che governa il cosmo. La nuova religione cristiana assorbì gran parte dei significati di questa festa, così come, più tardi, assorbì le usanze legate alla festività nord-europee di Yule (dal norvegese lul, "ruota ", ad indicare la ruota o ciclo dell'anno). Ma a Roma vi era una festa molto più antica di quella del Sole Invincibile: fra il 17 e il 23 dicembre si celebravano i Saturnali. In ogni città e villaggio veniva nominato un Rex Saturnaliorum che regnava per una settimana fra banchetti, giochi e orge, mentre gli schiavi prendevano il posto dei padroni e viceversa. La libertà e il caos non erano altro che il ricordo della mitica Età dell'Oro, un'epoca di pace, uguaglianza e abbondanza in cui aveva regnato Saturno. Solo durante i Saturnali veniva ammesso il gioco d'azzardo: non un semplice svago ma un atto rituale oracolare, teso ad interpretare la volontà degli dei. La falce di Saturno era in realtà un lituus, il bastone ricurvo usato dagli auguri per vaticinare il futuro. E i dadi dell'antica Roma erano forse il residuo di un antichissimo gioco oracolare: "sortes" erano in latino i dadi, nome che rimanda alla lettura dei destini. La moderna tombola ha ereditato questo valore: con i suoi significati scherzosi attribuiti ai 90 numeri, mentre ancor oggi fioriscono le vecchie usanze divinatorie, come quella secondo cui è possibile trarre pronostici sui 12 mesi dell'anno a venire osservando i 12 giorni che separano il Natale dall'Epifania. Tutti i momenti critici dell'anno, come ormai abbiamo ben compreso, sono fratture tra i mondi umani e quelli ultra-umani, sono tempi fuori dal tempo, in cui passato, presente e futuro si mescolano e di conseguenza momenti propizi per le arti divinatorie. Gli antichi Greci chiamavano Farlas "porta degli dei", considerandolo il confine tra il nostro mondo e una dimensione non-spaziale e non-temporale. Per questa porta si accede ad uno stato super-individuale, divino, il regno degli dei. Un'altra tradizione tramandata dai Saturnali è quella dei doni: in epoca imperiale a Roma ci si scambiava lumi accesi, simbolo della luce crescente. Alla fine dei Saturnali il Rex Saturnaliorum era ucciso simbolicamente (o forse realmente in epoche remote), e Saturno nuovamente legato, perche la frattura spazio-temporale si era richiusa e l'Età dell'Oro poteva essere instaurata definitivamente solo alla fine di un intero ciclo cosrnico. Saturno veniva imprigionato da Giove: questo ricorda chiaramente il tema delle due divinità che si combattono, la metà crescente e quella calante dell'anno o, come appare in certi miti di origine celtica, il Re della Quercia e il Re dell'Agrifoglio. Le attuali decorazioni natalizie richiamano l'antica usanza di mantenere vivo lo spirito della vegetazione con piante sempreverdi. In analogia al Solstizio d'Estate, anche il Solstizio d'Inverno è ricco di simboli vegetali. L'albero di Natale, l'abete, rappresenta in realtà l'Albero del Cosmo delle mitologie nordiche. Se appendiamo ai suoi rami luci e frutti dorati è per celebrare il mito solare. L'albero di Natale ha in effetti orgini pre-cristiane. Si attribuisce la sua introduzione a Martin Lutero, nella Germania del XVI secolo, ma la parola tedesca per l'albero non è Kristenbaum bensì Tannenbaum, parola collegata a Tinne o Glas-tin (gli alberi sacri dei Celti). La parola Tin o Tanne era usata per una quercia sempreverde (di qui il nome tannino, l'acido estratto dalla corteccia e usato per la concia delle pelli) e quindi abbiamo un ulteriore rinvio al Re della Quercia. L'agrifoglio invece, con le sue bacche rosse allude al sole e ghirlande di agrifogli simboleggiano la Ruota dell'Anno. In certi luoghi delle Isole Britanniche un uomo vestito di nero (colore saturnino!) o con la faccia tinta di nerofumo era il Ragazzo dell'Agrifoglio, la persona designata a entrare per prima nelle case il giorno del Solstizio. Una mazza di agrifoglio era il bastone di Saturno con il quale si uccideva un asino durante i Saturnali. Per le loro associazioni con il Dio dell'Anno Calante, ancora oggi in Irlanda, le decorazioni di agrifoglio vengono spazzate via dalle case dopo Natale perche porta sfortuna conservare i simboli dell'anno vecchio. Tinne, la parola irlandese per agrifoglio, è ritenuta collegata alla parola Glas-Tin che in Cornovaglia significa "albero sacro": ciò ha fatto ipotizzare che Glas-tonbury, la località britannica considerata il luogo di sepoltura del mitico re Artù, fosse stata anticamente un bosco di alberi sacri ove magari crescevano agrifogli e querce. L'agrifoglio era collegato foIkloricamente all'edera, simbolo di vita e di .rinascita a motivo della sua crescita a spirale, e considerato l'arbusto in cui si nasconde lo scricciolo. Nelle antiche usanze britanniche l'edera era utilizzata come decorazione natalizia e si combattevano scherzose battaglie a base di canti satirici tra le Ragazze dell'Edera e i Ragazzi dell'Agrifoglio. Forse ciò rappresentava uno scontro tra la parte dell'Anno dominata da una divinità maschile e quella dominata da una divinità femminile. "Fanciulla dell'Edera" era chiamato l'ultimo covone di grano mietuto e questo ci conduce al tema agrario e cerealicolo del Solstizio. Nel folklore britannico la morte del Re dell'Anno Calante è tuttora celebrata con la caccia e uccisione dello scricciolo (uccello totemico di Satumo) ad opera del pettirosso, l'uccello dell'Anno Crescente. In certe località irlandesi, il 26 dicembre i "ragazzi dello scricciolo" girano per le case con rami di agrifoglio, chiedendo doni. In altri luoghi a girare sono gruppi di musici adulti, con una piccola effigie di uno scricciolo su un ramo di agrifoglio. Non esistono corrispondenti tr1fdizioni estive della caccia al pettirosso, anche se la curiosa credenza irlandese secondo cui i bambini nati alla Pentecoste e ritenuti in pericolo di vita potevano salvarsi se fra le foro mani veniva schiacciato un non specificato uccellino, può suggerire il sacrificio rituale del pettirosso simbolo del Re della Quercia, che si prende la rivincita in inverno. Nei mumming plays inglesi S.Giorgio uccide l'oscuro "Turco" gridando poi di avere ucciso il suo stesso fratello: luce ed oscurità sono complementari e inseparabili, così alla fine di queste rappresentazioni folkloriche giunge un misterioso "Dottore" che resuscita con un elisir il personaggio ucciso. Questo equilibrio di buio e luce è stato distorto nel corso dei secoli in una lotta fra bene e male. In molte località europee le campane delle chiese per secoli suonarono il rintocco funebre del diavolo" nell'ultima ora della vigilia di Natale, avvisando che Cristo stava arrivando per distruggere Satana. Curiosamente, il soprannome inglese del diavolo "Old Nick" ci rinvia a Nik, un nome del dio nordico Odino, e a San Nicola, che nell'antico folklore cavalcava un cavallo bianco nel cielo, proprio come Odino. Questo santo com'è noto, si è poi trasformato nel Santa Claus americano, l'odierno Babbo Natale e ultima incarnazione del Dio Agrifoglio, l'anno calante, il Saturno vecchio e morente dispensatore di doni e di saggezza analogo al dio celtico Bran (e come questo signore del benefico caos solstiziale). Babbo Natale vive al Polo Nord e il nord è la direzione simbolica degli spiriti, la terra dei morti. Incidentalmente, in Italia Babbo Natale è sostituito o affiancato dalla Befana, la strega benefica che altri non è che la Vecchia Dea come dispensatrice di nuova vita. Anche la mela, frutto che abbiamo già visto a Samhain (capodanno celtico così come il Solstizio è il capodanno astronomico), ha giocato un ruolo importante nelle tradizioni solstiziali. Durante i secoli XIV e xv in molte località europee venivano appese mele a rami sempreverdi per usarli in rappresentazioni sacre la vigilia di natale, chiamata nel Medio Evo anche Giorno di Adamo ed Eva. In queste rappresentazioni sacre i rami con le mele indicavano l'albero dell'Eden. Ma più importante era il significato della continuità della vita spirituale che si manifesta nel continuo ciclo delle stagioni. Nell'epoca più buia dell'anno occorreva mimare il ritorno del sole e un modo semplice per fare questo era adornare rami di sempreverdi con simboli di abbondanza, di luce e di primavera, come frutti e candele accese. L'uso delle mele era molto antico e si ricollegava all'usanza pagana sassone del wassailing (dal sassone wes hal = essere in buona salute) che consisteva nel recarsi di un gruppo di persone nei frutteti al Solstizio d'Inverno con un recipiente di wassail, cioè di sidro bollito e speziato. Il sidro era spruzzato sui rami e versato intorno alla base del tronco di un albero scelto a rappresentare tutti gli altri. Danze e canti accompagnavano questo rito che aveva 10 scopo di garantire futuri abbondanti raccolti. Il Solstizio d'Inverno cela tra le sue molteplici manifestazioni anche quelle legate ad un simbolismo granario. San Girolamo, che visse a Betlemme fra il 386 e il 420, scrisse che là c'era un bosco sacro ad Adone o Tammuz, come era chiamato in Palestina. Tammuz, amato dalla dea Ishtar, è iltipico dio morente e risuscitato, Signore della vegetazione e del grano. La religione cristiana assimilò ben presto questo simbolismo nel sacramento dell'eucarestia. La risonanza del Ciclo del grano con quello del sole si riflette ancora in molte usanze, come quella scozzese di conservare fino a Yule la Fanciulla del Grano, la bambola costruita con le spighe dell'ultimo covone mietuto, per poi darla come cibo al bestiame per farlo prosperare. Oppure nell'usanza, diffusa in molte regioni europee, di spargere le ceneri del ciocco di Natale sui campi di grano. La tradizione del ciocco è quella che, forse più di tante altre, ha fuso in unico simbolo il mito della luce solare e quello vegetale del dio che muore per rinascere dalle proprie ceneri. Il ceppo, di solito di legno di quercia (l'albero del Dio dell'anno crescente, trionfante al Solstizio d'inverno...), veniva portato nelle case la sera della vigilia, ornato di sempreverdi e innaffiato di vino, per essere acceso nel caminetto dal membro più giovane o più anziano della famiglia (il nuovo o il vecchio sole...) Spento il giorno dopo, veniva riacceso ogni sera nelle fatidiche 12 notti fino all'Epifania. La cenere era sparsa intorno all'orto contro i parassiti o sulle travi di casa a protezione dai fulmini. I carboni erano riaccesi quando minacciava la grandine. Il pezzo che restava era utilizzato per .accendere il ciocco dell'anno successivo, a simboleggiare la forza della vita che passa da una modalità di esistenza all'altra, in un ciclo senza fine. In Scozia e Cornovaglia si bruciava un ceppo con una figura umana rozzamente scolpita su di esso, vestigia di un antichissimo sacrificio divino. Il ciocco ci riconduce al simbolo del pettirosso tramite una curiosa credenza. Il nome inglese dell'uccello, Robin Redbreast, richiama infatti Robin Hood e Hood significa ciocco di legno. Nel ciocco di legno di quercia si credeva risiedesse questo spirito. "Cavallo di Robin Hood" era chiamato il pidocchio del legno che fuggiva quando il ciocco veniva acceso; Robin stesso fuggiva dal camino infonna di pettirosso e, a Yule muoveva contro il Dio dell' Anno Calante. La pianta sacra del Solstizio .d'Inverno è il vischio, pianta simbolo della vita in quanto le sue bacche bianche e traslucide somigliano allo sperma maschile; Il vischio, pianta sacra ai druidi, era considerata una; pianta discesa dal cielo, figlia del fulmine, e quindi emanazione divina. Equiparato alla vita attraverso la sua somiglianza allo sperma, ed unito alla quercia, il sacro albero dell'eternità, questa pianta partecipa sia del simbolismo dell'eternità che di quello dell'istante, simbolo di rigenerazione ma anche di immortalità. 1 druidi tagliavano ritualmente ai solstizi i rami di vischio con un falcetto d'oro, strumento che univa in se il simbolo del sole e quello della luna. La pianta era chiamata il "tutto-sana" (in gaelico irlandese uile-iceadh, in gaelico scozzese uil-ioc), medicina universale dono del risanante momento dell'eternità. Ancora oggi baciarsi sotto il vischio è un gesto propiziatorio di fortuna e la prima persona a entrare in casa dopo Farlas deve portare con se un ramo di vischio. Queste usanze solstiziali sono state trasferite allo gennaio, il Capodanno dell'attuale calendario civile.

 

 

Celebrare Saturnalia

 

La natura in questo tempo si riposa per prepararsi a vivere un nuovo ciclo e anche per noi sarebbe fisicamente opportuna una pausa, approfittando magari delle vacanze natalizie per dedicarci alla lettura, alla meditazione, a esercizi di rilassamento. Una cosa piacevole sarebbe l'idromassaggio, una pratica rilassante e al tempo stesso simboleggiante le acque uterine da cui vogliamo rinascere per l'anno a venire. Purtroppo tutto congiura contro un salutare riposo solstiziale. Infatti questo periodo dell'anno, per l'accumularsi di celebrazioni, feste e acquisti di regali può portare a stress e ansia. La forzata allegria, la caduta della routine quotidiana, il consumismo esaperato, sono tutti elementi che possono condurre a sentimenti di depressione e isolamento. Sarà la minor quantità di luce solare, sarà l'essere costretti a mostrare un aspetto felice, ma questo è uno dei periodi dell'anno con il più alto picco di suicidi... Tuttavia, se ricordiamo che questo tempo è quello in cui siamo più lontani dal sole e contemporaneamente anche consapevoli della sua rinascita, possiamo provare a trattenere questa piccola luce in noi. Il Solstizio può essere per noi un momento molto calmo e importante, in cui nella silenziosa e oscura profondità del nostro essere, noi contattiamo la scintilla del nuovo sole. Questa è anche una opportunità per gioire e abbandonarci a sentimenti di ottimismo e di speranza: come il sole risorge, anche noi possiamo uscire dalle tenebre invernali rigenerati. Ci sono tanti modi per celebrare a livello spirituale questa festa: possiamo decorare la nostra casa con le piante di Farlas oppure fare un albero solstiziale. Non un solito albero natalizio, bensì un albero decorato con tante piccole raffigurazioni del sole. O ancora possiamo alzarci all'alba e salutare il nuovo sole. Si possono accendere candele o luci per rappresentare la nascita delle nostre speranze per il nuovo anno. Possiamo anche compiere una celebrazione più rituale, con l'accensione del ciocco. Anche se non abbiamo un caminetto in casa possiamo accenderlo nel nostro giardino, o in un prato insieme ai nostri amici. Si prende un grosso pezzo di legno di quercia e l0 si orna con rametti di varie piante: il tasso (a indicare la morte dell'anno calante), l'agrifoglio (l'an- no calante stesso), l'edera (la pianta del dio solstiziale) e la betulla (l'albero delle nascite e dei nuovi inizi). Si legano i rametti al ciocco usando un nastro rosso. Se abbiamo celebrato questo rito anche l'anno precedente e abbiamo un pezzo non combusto del vecchio ciocco, accenderemo il fuoco con questo, Si dice: "Come il vecchio ciocco è consumato, così l0 sia anche l'anno vecchio". Quando il ciocco prende fuoco si dice: "Come il nuovo ciocco è acceso, così inizi il nuovo anno", Una volta che il fuoco è acceso osserviamo le sue fiamme e meditiamo sulla rinascita della luce e sulla nostra rinascita interiore. Accogliamo le nostre speranze, i nostri sogni per il futuro e salutiamo questa luce dicendo: "Benvenuta, luce del nuovo sole!". Brindiamo con vino brulè (in sostituzione del wassail nord-europeo) e consumiamo dolci, lasciando una parte del nostro festino per la Madre Terra. Se sono con noi amici e familiari doniamo loro rami di vischio. Più tardi le ceneri del ciocco potranno essere sparse nel nostro giardino o nei vasi delle piante che teniamo in casa per propiziare la salute e la fertilità della vegetazione. Un modo simpatico per celebrare il Farlas è quello del ramo dei desideri, un rituale della tradizione celtica bretone. Nove giorni prima del Solstizio occorre procurarsi un ramo secco di buone dimensioni, pitturarlo con vernice dorata e appenderlo nell'anticamera della propria abitazione, con un pennarello e alcune strisce di carta rossa da tenere lì vicino. Chiunque entri in casa se vuole, potrà scrivere un proprio desiderio su una striscia di carta, che verrà ripiegata per garantire la segretezza del desiderio e legata al ramo con un nastrino colorato. Quando nove giorni dopo si accende il fuoco del Solstizio (nel caminetto di casa o in un falò nel giardino o nel campo) il ramo viene sistemato sulla legna da ardere e i desideri che sono appesi ad esso bruciando saliranno col fumo sempre più in alto, finche verranno accolti da entità celesti e chissà, forse esauditi.