Notte
del 22 su 23 dicembre
La
rinascita del mondo
Mentre
l'anno volge al termine, nelle terre dell'emisfero boreale a clima
temperato le notti si allungano e le ore di luce sono sempre più
brevi, fino al giorno del Solstizio invernale, il 21 dicembre.
Solstizio, dal latino "sol stat", "il sole si
ferma" .E infatti il sole per circa tre giorni sorge sempre
nello stesso punto. II respiro della natura è sospeso, nell'attesa
di una trasformazione, e il tempo stesso pare fermarsi. E' uno dei
momenti di passaggio dell'anno, forse il più drammatico e
paradossale: l'oscurità regna sovrana, ma nel momento del suo
trionfo cede alla luce che, lentamente, inizia d prevalere sulle
brume invernali. Dopo il Solstizio, la notte più lunga dell'anno,
le giornate ricominciano poco alla volta ad allungarsi. Come tutti i
momenti di passaggio, Farlas è un periodo carico di valenze
simboliche e magiche, dominato da una costellazione di miti e di
simboli, echi ancestrali di un passato lontanissimo e dei quali
abbiamo ormai perso il significato originario. E tuttavia, nelle
moderne celebrazioni natalizie e di fine anno è ancora possibile
discernere i simboli di tradizioni primordiali sotto la loro attuale
veste, cristiana o consumistica che sia. Cerchiamo per un attimo di
immaginare come viveva l'antica umanità questo periodo dell'anno,
in epoche prive della tecnologia moderna e nelle quali buio e gelo
erano sinonimi di fame e morte. Dalla Siberia alle Isole
Britanniche, passando per l'Europa Centrale e il Mediterraneo, era
tutto un fiorire di riti e cosmogonie che celebtavano le nozze
fatali della notte più lunga col giorno più breve. Due temi
principali si intrecciavano e si sovrapponevano, come i temi
musicali di una grande sinfonia. Uno era la morte del Vecchio Sole e
la nascita del Sole Bambino, l'altra era il tema vegetale che
narrava la sconfitta del Dio Agrifoglio, Re dell'Anno Calante, ad
opera del Dio Quercia, Re dell'Anno Crescente. Un terzo tema, forse
meno antico e nato con le prime civiltà agrarie, celebrava sullo
sfondo la nascita-germinazione di un Dio del Grano... Se il sole è
un dio, il diminuire del suo calore e della sua luce è visto come
segno di vecchiaia e declino. Occorre cacciare l'oscurità prima che
il sole scompaia per sempre. Le genti dell'antichità, che si
consideravano parte del grande cerchio della vita, ritenevano che
ogni loro azione, anche la più piccola, potesse influenzare i
grandi cicli del cosmo. Così si celebravano riti per assicurare la
rigenerazione del sole e si accendevano falò per sostenerne la
forza e per incoraggiarne, tramite la cosiddetta "magia
simpatica" la rinascita e la ripresa della sua marcia
trionfale. L'inverno era pericoloso, non solo per il freddo e la
scarsità di cibo, ma anche perche vagavano sulla terra spiriti di
defunti, vampiri e licantropi, entrati dal varco che si era aperto
alle calende di novembre, Samhain (l'attuale Ognissanti). In un anno
di 13 mesi lunari di 28 giorni ciascuno, resta inevitabilmente fuori
un giorno, il giorno senza nome che rappresenta una frattura nel
ciclo del tempo, il ritorno del Caos primordiale. Farlas è insieme
festa di morte, trasformazione e rinascita. Il Re Oscuro, il Vecchio
Sole, muore e si trasforma nel Sole Bambino che rinasce dall'utero
della Dea: all'alba la Grande Madre Terra dà alla luce il Sole Dio.
La Dea è la vita dentro la morte, perche anche se ora è regina del
gelo e dell'oscurità, mette al mondo il Figlio della Promessa, il
Sole suo amante che la rifeconderà riportando calore e luce al suo
regno. Anche se i più freddi giorni dell'inverno ancora devono
venire, sappiamo che con la rinascita del sole la primavera ritornerà.
I Celti consideravano il sole che si levava fino alla vigilia del
Solstizio un sole ombra, mentre quello vero era prigioniero di Arawn,
re del Mondo-di-Sotto. Questo vero sole rinasceva dal grembo di
Ceridwen, la vecchia Dea-Strega dell'inverno. Nella tradizione
druidica moderna il solstizio prende il nome di Alban Arthuan,
"Luce di Artù", dove il Dio Sole rinasce in questo giorno
come il re Artù che dorme in una grotta segreta nelle montagne
gallesi si risveglierà un giorno per portare un'epoca di pace e di
prosperità. I grandi monumenti megalitici della preistoria sono
testimonianze mute ma possenti di questa tradizione. A Stonehenge,
il cerchio di pietre eretto in Inghilterra fra il 3100 e il 1700
a.C. il sole di Farlas sorge all'alba attraverso il trilite di
Sud-Est e proprio sopra la Altar Stone, la Pietra Altare. I
costruttori di dolmen e menhir possedevano una notevole sapienza
astronomica e appare evidente il loro interesse per il solstizio
invernale e per la posizione della luna in questo periodo: si è già
visto come il Nuovo Sole era inseparabilmente legato alla Vecchia
Strega lunare, regina dell'inverno. Forse i monumenti preistorici
erano teatro di danze rituali in cerchio che, combinate con le
energie delle grandi pietre, avevano lo scopo di rigenerare i poteri
della vita. A Newgrange, in Irlanda, il simbolismo era più
spettacolare: nell'enorme tumulo eretto verso il 3200 a.C., un
raggio del sole che sorge all'alba del solstizio percorre
esattamente un lungo e strettissimo corridoio per illuminare la
piccola cella interna. Molto più tardi, i Celti narreranno che Lugh,
dio della luce, era stato sepolto a Newgrange, tomba e utero della
sua rinascita. Sono numerose le tradizioni che vedono nascere un dio
del sole o della luce in una caverna. Il sole emerge
dall'utero-caverna della Dea o, per usare un altro linguaggio, il
buio è l'oscurità alchemica in cui si forma la splendente pietra
filosofale. In una grotta, simbolo del cosmo stesso, nascono
Dioniso, Hermes, Zeus. In Atene il rituale del solstizio erano le
Lenee, la Festa delle Donne Selvagge, in cui si celebravano ad un
tempo la morte e la rinascita di Dioniso. Grotte addobbate di fiori
commemoravano la nascita del dio, sacrificato in precedenza come
capretto dai Titani. I Cretesi uccidevano e mangiavano un toro quale
sostituto di Dioniso. E come toro veniva adorato e sacrificato un
altro dio solstiziale, il persiano Mithra, che nasceva il 25
dicembre in una grotta, così come grotte erano i suoi santuari di
iniziazione. In Egitto era Iside a circumambulare sette volte, sotto
forma di vacca aurea, l'altare di Osiride per cercare le parti del
suo cadavere smembrato, raffigurando la ricerca del sole in inverno
da parte della Dea. Le case erano decorate con lampade a olio che
ardevano tutta la notte. A mezzanotte i sacerdoti uscivano dal
santuario gridando "La Vergine ha partorito! La luce è
crescente!" e mostrando un'immagine del bambino ai fedeli. La
sepoltura di Osiride, il Vecchio Sole assassinato dal fratello Seth,
il dio dalla testa di asino, avveniva il 21 dicembre. Il 23 Iside
dava alla luce il figlio Horus, il Nuovo Sole e al tempo stesso il
Signore dei raccolti. Horus e Osiride rappresentano
contemporaneamente gli aspetti solari e vegetali della divinità,
fondando nel loro mito i tre temi mitici di Farlas e insegnandoci
che morte e vita sono inseparabili: ogni nuova nascita ci porta più
vicini alla morte. Il Vecchio Dio deve venire a patti con le
implicazioni di questa verità perche solo così può rinascere
attraverso il figlio. Il Natale è la versione cristiana della
rinascita del sole, fissato secondo la tradizione al 25 dicembre dal
papa Giulio I (337 -352) per il duplice scopo di celebrare Gesù
Cristo come "Sole di giustizia" e creare una celebrazione
alternativa alla più popolare festa pagana dell'epoca. Il 25
dicembre infatti, quando il nuovo sole è già salito
percettibilmente sull'orizzonte, era a Roma il Dies Natalis Solis
Invicti, la festa in onore del Sole Invincibile istituita
dall'imperatore Aureliano per celebrare il sole quale manifestazione
della divinità che governa il cosmo. La nuova religione cristiana
assorbì gran parte dei significati di questa festa, così come, più
tardi, assorbì le usanze legate alla festività nord-europee di
Yule (dal norvegese lul, "ruota ", ad indicare la ruota o
ciclo dell'anno). Ma a Roma vi era una festa molto più antica di
quella del Sole Invincibile: fra il 17 e il 23 dicembre si
celebravano i Saturnali. In ogni città e villaggio veniva nominato
un Rex Saturnaliorum che regnava per una settimana fra banchetti,
giochi e orge, mentre gli schiavi prendevano il posto dei padroni e
viceversa. La libertà e il caos non erano altro che il ricordo
della mitica Età dell'Oro, un'epoca di pace, uguaglianza e
abbondanza in cui aveva regnato Saturno. Solo durante i Saturnali
veniva ammesso il gioco d'azzardo: non un semplice svago ma un atto
rituale oracolare, teso ad interpretare la volontà degli dei. La
falce di Saturno era in realtà un lituus, il bastone ricurvo usato
dagli auguri per vaticinare il futuro. E i dadi dell'antica Roma
erano forse il residuo di un antichissimo gioco oracolare: "sortes"
erano in latino i dadi, nome che rimanda alla lettura dei destini.
La moderna tombola ha ereditato questo valore: con i suoi
significati scherzosi attribuiti ai 90 numeri, mentre ancor oggi
fioriscono le vecchie usanze divinatorie, come quella secondo cui è
possibile trarre pronostici sui 12 mesi dell'anno a venire
osservando i 12 giorni che separano il Natale dall'Epifania. Tutti i
momenti critici dell'anno, come ormai abbiamo ben compreso, sono
fratture tra i mondi umani e quelli ultra-umani, sono tempi fuori
dal tempo, in cui passato, presente e futuro si mescolano e di
conseguenza momenti propizi per le arti divinatorie. Gli antichi
Greci chiamavano Farlas "porta degli dei", considerandolo
il confine tra il nostro mondo e una dimensione non-spaziale e
non-temporale. Per questa porta si accede ad uno stato
super-individuale, divino, il regno degli dei. Un'altra tradizione
tramandata dai Saturnali è quella dei doni: in epoca imperiale a
Roma ci si scambiava lumi accesi, simbolo della luce crescente. Alla
fine dei Saturnali il Rex Saturnaliorum era ucciso simbolicamente (o
forse realmente in epoche remote), e Saturno nuovamente legato,
perche la frattura spazio-temporale si era richiusa e l'Età
dell'Oro poteva essere instaurata definitivamente solo alla fine di
un intero ciclo cosrnico. Saturno veniva imprigionato da Giove:
questo ricorda chiaramente il tema delle due divinità che si
combattono, la metà crescente e quella calante dell'anno o, come
appare in certi miti di origine celtica, il Re della Quercia e il Re
dell'Agrifoglio. Le attuali decorazioni natalizie richiamano
l'antica usanza di mantenere vivo lo spirito della vegetazione con
piante sempreverdi. In analogia al Solstizio d'Estate, anche il
Solstizio d'Inverno è ricco di simboli vegetali. L'albero di
Natale, l'abete, rappresenta in realtà l'Albero del Cosmo delle
mitologie nordiche. Se appendiamo ai suoi rami luci e frutti dorati
è per celebrare il mito solare. L'albero di Natale ha in effetti
orgini pre-cristiane. Si attribuisce la sua introduzione a Martin
Lutero, nella Germania del XVI secolo, ma la parola tedesca per
l'albero non è Kristenbaum bensì Tannenbaum, parola collegata a
Tinne o Glas-tin (gli alberi sacri dei Celti). La parola Tin o Tanne
era usata per una quercia sempreverde (di qui il nome tannino,
l'acido estratto dalla corteccia e usato per la concia delle pelli)
e quindi abbiamo un ulteriore rinvio al Re della Quercia.
L'agrifoglio invece, con le sue bacche rosse allude al sole e
ghirlande di agrifogli simboleggiano la Ruota dell'Anno. In certi
luoghi delle Isole Britanniche un uomo vestito di nero (colore
saturnino!) o con la faccia tinta di nerofumo era il Ragazzo
dell'Agrifoglio, la persona designata a entrare per prima nelle case
il giorno del Solstizio. Una mazza di agrifoglio era il bastone di
Saturno con il quale si uccideva un asino durante i Saturnali. Per
le loro associazioni con il Dio dell'Anno Calante, ancora oggi in
Irlanda, le decorazioni di agrifoglio vengono spazzate via dalle
case dopo Natale perche porta sfortuna conservare i simboli
dell'anno vecchio. Tinne, la parola irlandese per agrifoglio, è
ritenuta collegata alla parola Glas-Tin che in Cornovaglia significa
"albero sacro": ciò ha fatto ipotizzare che Glas-tonbury,
la località britannica considerata il luogo di sepoltura del mitico
re Artù, fosse stata anticamente un bosco di alberi sacri ove
magari crescevano agrifogli e querce. L'agrifoglio era collegato
foIkloricamente all'edera, simbolo di vita e di .rinascita a motivo
della sua crescita a spirale, e considerato l'arbusto in cui si
nasconde lo scricciolo. Nelle antiche usanze britanniche l'edera era
utilizzata come decorazione natalizia e si combattevano scherzose
battaglie a base di canti satirici tra le Ragazze dell'Edera e i
Ragazzi dell'Agrifoglio. Forse ciò rappresentava uno scontro tra la
parte dell'Anno dominata da una divinità maschile e quella dominata
da una divinità femminile. "Fanciulla dell'Edera" era
chiamato l'ultimo covone di grano mietuto e questo ci conduce al
tema agrario e cerealicolo del Solstizio. Nel folklore britannico la
morte del Re dell'Anno Calante è tuttora celebrata con la caccia e
uccisione dello scricciolo (uccello totemico di Satumo) ad opera del
pettirosso, l'uccello dell'Anno Crescente. In certe località
irlandesi, il 26 dicembre i "ragazzi dello scricciolo"
girano per le case con rami di agrifoglio, chiedendo doni. In altri
luoghi a girare sono gruppi di musici adulti, con una piccola
effigie di uno scricciolo su un ramo di agrifoglio. Non esistono
corrispondenti tr1fdizioni estive della caccia al pettirosso, anche
se la curiosa credenza irlandese secondo cui i bambini nati alla
Pentecoste e ritenuti in pericolo di vita potevano salvarsi se fra
le foro mani veniva schiacciato un non specificato uccellino, può
suggerire il sacrificio rituale del pettirosso simbolo del Re della
Quercia, che si prende la rivincita in inverno. Nei mumming plays
inglesi S.Giorgio uccide l'oscuro "Turco" gridando poi di
avere ucciso il suo stesso fratello: luce ed oscurità sono
complementari e inseparabili, così alla fine di queste
rappresentazioni folkloriche giunge un misterioso
"Dottore" che resuscita con un elisir il personaggio
ucciso. Questo equilibrio di buio e luce è stato distorto nel corso
dei secoli in una lotta fra bene e male. In molte località europee
le campane delle chiese per secoli suonarono il rintocco funebre del
diavolo" nell'ultima ora della vigilia di Natale, avvisando che
Cristo stava arrivando per distruggere Satana. Curiosamente, il
soprannome inglese del diavolo "Old Nick" ci rinvia a Nik,
un nome del dio nordico Odino, e a San Nicola, che nell'antico
folklore cavalcava un cavallo bianco nel cielo, proprio come Odino.
Questo santo com'è noto, si è poi trasformato nel Santa Claus
americano, l'odierno Babbo Natale e ultima incarnazione del Dio
Agrifoglio, l'anno calante, il Saturno vecchio e morente
dispensatore di doni e di saggezza analogo al dio celtico Bran (e
come questo signore del benefico caos solstiziale). Babbo Natale
vive al Polo Nord e il nord è la direzione simbolica degli spiriti,
la terra dei morti. Incidentalmente, in Italia Babbo Natale è
sostituito o affiancato dalla Befana, la strega benefica che altri
non è che la Vecchia Dea come dispensatrice di nuova vita. Anche la
mela, frutto che abbiamo già visto a Samhain (capodanno celtico così
come il Solstizio è il capodanno astronomico), ha giocato un ruolo
importante nelle tradizioni solstiziali. Durante i secoli XIV e xv
in molte località europee venivano appese mele a rami sempreverdi
per usarli in rappresentazioni sacre la vigilia di natale, chiamata
nel Medio Evo anche Giorno di Adamo ed Eva. In queste
rappresentazioni sacre i rami con le mele indicavano l'albero
dell'Eden. Ma più importante era il significato della continuità
della vita spirituale che si manifesta nel continuo ciclo delle
stagioni. Nell'epoca più buia dell'anno occorreva mimare il ritorno
del sole e un modo semplice per fare questo era adornare rami di
sempreverdi con simboli di abbondanza, di luce e di primavera, come
frutti e candele accese. L'uso delle mele era molto antico e si
ricollegava all'usanza pagana sassone del wassailing (dal sassone
wes hal = essere in buona salute) che consisteva nel recarsi di un
gruppo di persone nei frutteti al Solstizio d'Inverno con un
recipiente di wassail, cioè di sidro bollito e speziato. Il sidro
era spruzzato sui rami e versato intorno alla base del tronco di un
albero scelto a rappresentare tutti gli altri. Danze e canti
accompagnavano questo rito che aveva 10 scopo di garantire futuri
abbondanti raccolti. Il Solstizio d'Inverno cela tra le sue
molteplici manifestazioni anche quelle legate ad un simbolismo
granario. San Girolamo, che visse a Betlemme fra il 386 e il 420,
scrisse che là c'era un bosco sacro ad Adone o Tammuz, come era
chiamato in Palestina. Tammuz, amato dalla dea Ishtar, è iltipico
dio morente e risuscitato, Signore della vegetazione e del grano. La
religione cristiana assimilò ben presto questo simbolismo nel
sacramento dell'eucarestia. La risonanza del Ciclo del grano con
quello del sole si riflette ancora in molte usanze, come quella
scozzese di conservare fino a Yule la Fanciulla del Grano, la
bambola costruita con le spighe dell'ultimo covone mietuto, per poi
darla come cibo al bestiame per farlo prosperare. Oppure
nell'usanza, diffusa in molte regioni europee, di spargere le ceneri
del ciocco di Natale sui campi di grano. La tradizione del ciocco è
quella che, forse più di tante altre, ha fuso in unico simbolo il
mito della luce solare e quello vegetale del dio che muore per
rinascere dalle proprie ceneri. Il ceppo, di solito di legno di
quercia (l'albero del Dio dell'anno crescente, trionfante al
Solstizio d'inverno...), veniva portato nelle case la sera della
vigilia, ornato di sempreverdi e innaffiato di vino, per essere
acceso nel caminetto dal membro più giovane o più anziano della
famiglia (il nuovo o il vecchio sole...) Spento il giorno dopo,
veniva riacceso ogni sera nelle fatidiche 12 notti fino
all'Epifania. La cenere era sparsa intorno all'orto contro i
parassiti o sulle travi di casa a protezione dai fulmini. I carboni
erano riaccesi quando minacciava la grandine. Il pezzo che restava
era utilizzato per .accendere il ciocco dell'anno successivo, a
simboleggiare la forza della vita che passa da una modalità di
esistenza all'altra, in un ciclo senza fine. In Scozia e Cornovaglia
si bruciava un ceppo con una figura umana rozzamente scolpita su di
esso, vestigia di un antichissimo sacrificio divino. Il ciocco ci
riconduce al simbolo del pettirosso tramite una curiosa credenza. Il
nome inglese dell'uccello, Robin Redbreast, richiama infatti Robin
Hood e Hood significa ciocco di legno. Nel ciocco di legno di
quercia si credeva risiedesse questo spirito. "Cavallo di Robin
Hood" era chiamato il pidocchio del legno che fuggiva quando il
ciocco veniva acceso; Robin stesso fuggiva dal camino infonna di
pettirosso e, a Yule muoveva contro il Dio dell' Anno Calante. La
pianta sacra del Solstizio .d'Inverno è il vischio, pianta simbolo
della vita in quanto le sue bacche bianche e traslucide somigliano
allo sperma maschile; Il vischio, pianta sacra ai druidi, era
considerata una; pianta discesa dal cielo, figlia del fulmine, e
quindi emanazione divina. Equiparato alla vita attraverso la sua
somiglianza allo sperma, ed unito alla quercia, il sacro albero
dell'eternità, questa pianta partecipa sia del simbolismo
dell'eternità che di quello dell'istante, simbolo di rigenerazione
ma anche di immortalità. 1 druidi tagliavano ritualmente ai
solstizi i rami di vischio con un falcetto d'oro, strumento che
univa in se il simbolo del sole e quello della luna. La pianta era
chiamata il "tutto-sana" (in gaelico irlandese uile-iceadh,
in gaelico scozzese uil-ioc), medicina universale dono del risanante
momento dell'eternità. Ancora oggi baciarsi sotto il vischio è un
gesto propiziatorio di fortuna e la prima persona a entrare in casa
dopo Farlas deve portare con se un ramo di vischio. Queste usanze
solstiziali sono state trasferite allo gennaio, il Capodanno
dell'attuale calendario civile.
Celebrare
Saturnalia
La
natura in questo tempo si riposa per prepararsi a vivere un nuovo
ciclo e anche per noi sarebbe fisicamente opportuna una pausa,
approfittando magari delle vacanze natalizie per dedicarci alla
lettura, alla meditazione, a esercizi di rilassamento. Una cosa
piacevole sarebbe l'idromassaggio, una pratica rilassante e al tempo
stesso simboleggiante le acque uterine da cui vogliamo rinascere per
l'anno a venire. Purtroppo tutto congiura contro un salutare riposo
solstiziale. Infatti questo periodo dell'anno, per l'accumularsi di
celebrazioni, feste e acquisti di regali può portare a stress e
ansia. La forzata allegria, la caduta della routine quotidiana, il
consumismo esaperato, sono tutti elementi che possono condurre a
sentimenti di depressione e isolamento. Sarà la minor quantità di
luce solare, sarà l'essere costretti a mostrare un aspetto felice,
ma questo è uno dei periodi dell'anno con il più alto picco di
suicidi... Tuttavia, se ricordiamo che questo tempo è quello in cui
siamo più lontani dal sole e contemporaneamente anche consapevoli
della sua rinascita, possiamo provare a trattenere questa piccola
luce in noi. Il Solstizio può essere per noi un momento molto calmo
e importante, in cui nella silenziosa e oscura profondità del
nostro essere, noi contattiamo la scintilla del nuovo sole. Questa
è anche una opportunità per gioire e abbandonarci a sentimenti di
ottimismo e di speranza: come il sole risorge, anche noi possiamo
uscire dalle tenebre invernali rigenerati. Ci sono tanti modi per
celebrare a livello spirituale questa festa: possiamo decorare la
nostra casa con le piante di Farlas oppure fare un albero
solstiziale. Non un solito albero natalizio, bensì un albero
decorato con tante piccole raffigurazioni del sole. O ancora
possiamo alzarci all'alba e salutare il nuovo sole. Si possono
accendere candele o luci per rappresentare la nascita delle nostre
speranze per il nuovo anno. Possiamo anche compiere una celebrazione
più rituale, con l'accensione del ciocco. Anche se non abbiamo un
caminetto in casa possiamo accenderlo nel nostro giardino, o in un
prato insieme ai nostri amici. Si prende un grosso pezzo di legno di
quercia e l0 si orna con rametti di varie piante: il tasso (a
indicare la morte dell'anno calante), l'agrifoglio (l'an- no calante
stesso), l'edera (la pianta del dio solstiziale) e la betulla
(l'albero delle nascite e dei nuovi inizi). Si legano i rametti al
ciocco usando un nastro rosso. Se abbiamo celebrato questo rito
anche l'anno precedente e abbiamo un pezzo non combusto del vecchio
ciocco, accenderemo il fuoco con questo, Si dice: "Come il
vecchio ciocco è consumato, così l0 sia anche l'anno
vecchio". Quando il ciocco prende fuoco si dice: "Come il
nuovo ciocco è acceso, così inizi il nuovo anno", Una volta
che il fuoco è acceso osserviamo le sue fiamme e meditiamo sulla
rinascita della luce e sulla nostra rinascita interiore. Accogliamo
le nostre speranze, i nostri sogni per il futuro e salutiamo questa
luce dicendo: "Benvenuta, luce del nuovo sole!". Brindiamo
con vino brulè (in sostituzione del wassail nord-europeo) e
consumiamo dolci, lasciando una parte del nostro festino per la
Madre Terra. Se sono con noi amici e familiari doniamo loro rami di
vischio. Più tardi le ceneri del ciocco potranno essere sparse nel
nostro giardino o nei vasi delle piante che teniamo in casa per
propiziare la salute e la fertilità della vegetazione. Un modo
simpatico per celebrare il Farlas è quello del ramo dei desideri,
un rituale della tradizione celtica bretone. Nove giorni prima del
Solstizio occorre procurarsi un ramo secco di buone dimensioni,
pitturarlo con vernice dorata e appenderlo nell'anticamera della
propria abitazione, con un pennarello e alcune strisce di carta
rossa da tenere lì vicino. Chiunque entri in casa se vuole, potrà
scrivere un proprio desiderio su una striscia di carta, che verrà
ripiegata per garantire la segretezza del desiderio e legata al ramo
con un nastrino colorato. Quando nove giorni dopo si accende il
fuoco del Solstizio (nel caminetto di casa o in un falò nel
giardino o nel campo) il ramo viene sistemato sulla legna da ardere
e i desideri che sono appesi ad esso bruciando saliranno col fumo
sempre più in alto, finche verranno accolti da entità celesti e
chissà, forse esauditi.
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