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di Aliberth (INCONTRO tenuto il 21/2/2000 presso il CENTRO
NIRVANA di ROMA)
Nei
Sacri Sutra Buddhisti e del Vedanta-Advaita è stato affermato che,
se ciascun individuo avesse costantemente di fronte a sé, ben
impressa nella sua mente, la domanda-koan “CHI SONO IO?”,
l’Illuminazione sarebbe subito visibile come un frutto di
mirabolano sul palmo della propria mano. Perciò non tardarebbe
molto ad apparire nella stessa mente dell’Osservatore, al
contrario di quanto succede purtroppo alla maggioranza degli
individui comuni, che sono totalmente inconsapevoli e disinteressati
a sapere ed a conoscere chi essi siano, in realtà.
Il
problema e della dimenticanza di sé e della perdita
dell’autocoscienza è dovuto al fatto che, nella coscienza degli
individui comuni, cioè la quasi totalità del genere umano
letteralmente "ignara" del modo in cui essi esistono, c’è
una sorta di totale disinteresse verso la propria autonatura. La
causa principale di questa assenza di autocoscienza è l’Avidya,
l’Ignoranza metafisica che mantiene addormentate le Coscienze,
facendole essere interessate soltanto ai fenomeni esterni.
Il maggior responsabile di questa Ignoranza è l’obbligo della
mente individuale a ragionare in termini di DUALITA’.
È
stato più volte spiegato il motivo e le circostanze del perché la
pura Mente, Originaria e Assoluta, è stata costretta
all’estroversione e quindi alla percezione dualistica. Questa
sorta di “Peccato Originale”, ha costretto la mente a scendere
nel materiale e a diventare relativa e individuale, al comando di
un’entità psicologica artificiale chiamata “IO”. Questo
personaggio virtuale ha instaurato nella mente, per reazione, una
forma di conoscenza mondana perifericamente rivolta, partendo da sé
come soggetto ed allargandosi all’esterno, verso tutte le altre
cose conosciute, designandole come oggetti...
Il
punto iniziale di questo processo, cioè la Coscienza originaria
sottoposta e aggiogata all’idea dell’Io ed al suo errato modo di
impostare la conoscenza, ha prodotto una collettiva Storia
dell’Umanità totalmente condizionata da questo modo errato di
esteriorizzare la coscienza. L’essere umano, identificato in e
governato dalla sua idea di ‘Io’, viene eccitato dai meccanismi
stessi e li mette in atto con la convinzione, peraltro non smentita
dai grandi Cervelli del mondo, che quello sia il giusto
comportamento e la normale adesione al comune senso di coscienza.
In
questo modo l’uomo, totalmente all’oscuro della sua realtà
interiore, senza alcuna coscienza di sé come essere spirituale,
viene facilmente trascinato dal gioco mondano e, preso dalle
frenesie per gli oggetti di questo mondo, non si ferma neanche un
attimo a chiedersi chi possa essere il Regista di questo gioco. Così
egli prolunga all’infinito questo perfido e ingannatorio gioco che
lo sfinisce nell’animo e, in cambio di esigue e futili
soddisfazioni sul piano materiale, lo condanna ad essere
perennemente all’oscuro della Verità.
Quando
poi, per sua fortuna e per una casuale evenienza generata dal dolore
e dalla sofferenza, la persona si chiede: - Chi è che mi costringe
a tutto ciò? Chi sono, in realtà, Io?– solo allora si spalancano
all’improvviso le porte del suo mondo interiore. Soltanto allora
il dubbio di una esistenza “più reale” si affaccia nella sua
mente, creando le basi di una Coscienza più profonda che può
permettere di sostituire l’illusoria parvenza di ciò che, fino ad
allora, la persona aveva pensato di essere.
Solitamente,
abbiamo un’idea di noi stessi costruita soprattutto su
un’immagine fisica e caratteriale (io sono bello, giovane,
intelligente, ricco, forte, ecc. oppure i loro contrari). Perciò
abbiamo questi due aspetti della nostra identità, quello estetico e
quello qualitativo, che ci influenzano nei rapporti con la vita
quotidiana e con la nostra idea personale di identità. Ma nella
nostra convinzione di essere questo o quello, mai ci sfiora il
pensiero o il dubbio di voler sapere CHI è veramente questa persona
che si ritiene così e così.
Tutto
è lasciato al caso, a quel destino karmico che stabilisce il
momento e l’inten-sità, quando nella nostra mente si stabilirà
il desiderio dell’Autocoscienza e la sua attuazione. Malgrado
sembri una decisione personale, in realtà viste le profonde
differenze di interpretazione da persona a persona, c’è da
credere che tutto sia già predisposto da un potere più alto che,
in ogni caso, deve risiedere necessariamente all’interno della
nostra stessa mente.
Poiché
tutto è sottoposto al cambiamento ed alla continua evoluzione, si
presume quindi che, anche nella mente, sia in vigore questa legge
ineluttabile. Potremmo ritenere che il cambiamento e l’evoluzione
siano parte integrante dell’esistenza, poiché tutte le cose,
anche le più insignificanti, cambiano e si trasformano e di questo
tutti ne siamo consapevoli. Eppure, benchè questa sia una legge
universale, ancora non è sufficiente a farci prendere coscienza del
NOSTRO effettivo cambiamento, sul piano coscienziale.
Ma
questo <Io> che cambia, che non è mai lo stesso anche a
distanza di poco tempo, ha mai avuto coscienza di ciò? L’Io
attribuisce le sue variazioni, della persona fisica e dell’aspetto
caratteriale, al tempo che inesorabilmente trascorre e modifica
tutte le cose. Ma si è mai chiesto COSA sia il tempo? E CHI è che
veramente subisce il cambiamento? E’ questa assenza di domande
circa se stesso che fa dell’Io un personaggio virtuale. L’Io è
incapace di farsi domande, che abbiano come oggetto di discussione
il suo stesso modo di esistere.
Ecco
perché quando un individuo comincia a farsi queste domande, quando
inizia ad avere questi dubbi, si dice che sta iniziando l’ascesi
evolutiva spirituale della sua mente. Il mondo non insegna queste
cose, non può insegnarci nulla di ciò che spontaneamente, prima o
dopo, sorgerà nella nostra mente come dubbio esistenziale. I nostri
poteri innati di poter vedere, sentire, ascoltare, respirare,
mangiare, dormire, evacuare, ecc, sono tutti spontanei e naturali.
Non ce li insegna il mondo che, al massimo, può enumerarli in una
raccolta di studi anatomici.
Il
mondo non mi presenta l’artefice di tutte queste capacità
naturali, non mi spiega CHE COSA SIAMO, ontologicamente parlando. Si
affida soltanto ad un Potere Supremo che, il più delle volte, è
delegato all’esterno in un imprecisato punto del Cielo,
inconoscibile a noi, piccole creature senza possibilità di
conoscenza ultima. Bene, c’è chi non ci sta più a questo gioco
al massacro della coscienza e del potere innato della mente, che
certo non si trova in qualche punto lassù nel Cielo. Ogni tanto
qualcuno, nella Storia dell’Uomo, si ribella a questa suprema
ingiustizia dell’obbligo alla forzata ignoranza dei piccoli
ordinari esseri umani.
La
prima e più importante cosa da augurarci, per cambiare la nostra
mente ignorante, è capire bene DA SOLI cos’è che NON sappiamo,
riguardo a NOI STESSI. Siccome abbiamo una coscienza, anzi in realtà
SIAMO Coscienza, non dobbiamo disperare né dobbiamo chiedere
alcunché a nessuno. Non serve procurarci enciclopedie o almanacchi
da sfogliare. Bisogna innanzi tutto avere, nella nostra mente, il
dubbio esistenziale e la domanda: - CHI SONO IO?-
Dobbiamo
capire da soli perché, quando la coscienza entra in contatto con
qualunque cosa di questo mondo, a noi sembra che queste cose siano
da sempre state lì fuori. E perché poi, tutto questo fa sorgere
nella nostra mente, percezioni particolari ed emozioni coinvolgenti,
cui la mente stessa non sa ribellarsi né esimersi. Possiamo,
infatti, vedere come la mente sia, inevitabilmente, schiava delle
situazioni e delle circostanze. Trovando situazioni gradevoli e
favorevoli siamo felici, altrimenti all’opposto siamo preoccupati
e soffriamo. Dobbiamo capire questi meccanismi e, per farlo,
dobbiamo necessariamente rifugiarci in noi stessi e ricorrere alla
conoscenza di noi stessi.
Perché
avviene tutto ciò? Perché il mondo ed i suoi mezzi di istruzione
non insegnano a superare questi condizionamenti, in un modo radicale
e non con palliativi e sbrigativi metodi psicanalitici, che lasciano
il tempo che trovano e cioè fino alla successiva ricaduta nel
condizionamento? Perché non siamo capaci naturalmente di restare
tranquilli ed imperturbabili, qualunque cosa accada, così come si
legge nei mirabili testi Zen, nelle vite di quei rari individui che
veramente sarebbero da dover imitare? La spiegazione è
semplicissima: noi non possiamo rispondere a questi “perché”, né
possiamo risolvere questi dilemmi, proprio perché non conosciamo la
nostra mente, nè i suoi meccanismi. Noi non conosciamo
assolutamente NOI STESSI! Noi ci abbandoniamo spesso all’illusione
che determinate cose o situazioni siano positive e tranquillizzanti
per loro propria specificità. Ad esempio un buon Cristiano può
pensare che, se pregherà il Signore chiedendogli pace e bene,
sicuramente li otterrà e ne avrà beneficio.
Tutto
ciò può anche avvenire, ma la verità di tutto questo procedimento
gli è sconosciuta. Egli si affida alla fede e la fede lo
ricompensa, per cui sarà portato a credere che, da qualche parte,
vi è un Signore che accoglie le sue richieste e lo esaudisce con
dei risultati positivi. Di questo passo è accaduto che nel mondo,
la soluzione dei nostri problemi, viene sempre demandata a qualcun
altro: il medico, il maestro, lo psicoterapeuta, il sacerdote, e
addirittura Dio.
Nel
Ch’an, al contrario, si insegna che al di fuori della nostra
stessa mente non vi è NULLA, che possa fare qualsiasi cosa, di bene
o di male, senza il nostro proprio intervento. Perciò i risultati
di ogni nostro desiderio, siano essi positivi o negativi, sono
soltanto meri effetti dell’energia della mente. Probabilmente Gesù
Cristo voleva proprio sottolineare questa verità, quando allo
storpio, che chiedeva a Lui il miracolo per poter nuovamente
camminare, rispose: “E’ la TUA fede che ti ha salvato!”. In
questo caso Gesù ammise che, se la stessa mente dello storpio non
avesse generato l’energia per il miracolo, Egli da solo non
avrebbe potuto far granché.
Perciò
se crediamo in un Dio e ci affidiamo a questa fede, è la stessa
energia del crederci (cioè la NOSTRA energia della mente) che
permette a Dio di intervenire. Dio non potrebbe far nulla, se non ci
fosse la nostra mente a renderlo esistente. Vi ricordate la famosa
frase invertita: - L’Uomo creò Dio a Sua immagine e somiglianza
– di cui si è parlato giorni fa. Nel Ch’an tutto questo rientra
nel mistero della compenetrazione dei fenomeni. Tutti i fenomeni,
cioè le cose esistenti, esistono in un UNICO insieme e appaiono
separate soltanto per l’ignoranza della mente individuale.
L’apparenza
dualistica è una perfetta Illusione (MAYA) ed è l’errore
interpretativo della mente individuale. Dio può esistere soltanto
perché esiste la MENTE, che lo contiene e lo comprende insieme con
tutte le cose contenute in ESSA. La Mente è l’unica vera base
dell’esistenza. In un certo modo, si potrebbe dire che il vero
Dio, il Creatore di tutte le cose, è la Mente. Ma, al di là dei
termini e delle imputazioni, che differenza c’è tra un Dio che è
INCONOSCIBILE e la Mente che, altrettanto, noi non conosciamo? Il
vero problema è questo: la nostra non-conoscenza, la nostra
Ignoranza Fondamentale.
Qui
torniamo al problema iniziale e perciò dobbiamo imparare a
conoscere la Mente. Questo è un lavoro che inizia col doversi
chiedere: - Chi sono Io? – e prosegue lavorando
incessantemente su noi stessi per arrivare a svelare l’arcano di
CIO’ che siamo. Comprendere la nostra mente comporta come effetto,
il beneficio di riuscire a star bene in qualsiasi situazione: non vi
sembra, questo, già un bel risultato? Possiamo giungere alla
soluzione del problema, antico quanto il mondo, di riunire
finalmente l’umano ed il Divino in un'unica persona!
La
pratica meditativa, che è il tirocinio iniziale, permetterà
che l’Io umano non prenda il sopravvento in questa unificazione,
doloroso affare che invece inquina la mente di coloro che fanno
soltanto pressapochistiche operazioni mentali e concettuali. Quindi
stiamo attenti a non generare nella nostra mente elementi egoici
altamente tossici, perciò niente orgoglio, niente presunzione,
niente egoismo e soprattutto, nessuna ricerca di gratificazione e di
vantaggi personali, con la rivelazione di questa verità.
La
meditazione Ch’an non è l’esaudimento del bisogno di passare
una mezzoretta in tranquillo rilassamento, sperando di ottenere un
beneficio per la nostra salute fisica e psichica. Certamente questi
effetti collaterali non ci dispiaceranno perché, anche se otterremo
quei vantaggi psicofisici, lo scopo deve essere ben altro. La
motivazione con la certezza di centrare il bersaglio, deve essere
rivolta verso lo scopo SUPERIORE che è quello di impegnarci
totalmente nel difficile compito di ricerca e scoperta del Centro
della nostra Coscienza. -
(tratto da www.centronirvana.it)
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