La religione Celtica

 

Presso i Celti e i Barbari in generale, non esisteva l'ideale di perfezione o di peccato, così come lo concepivano i Cristiani. Per i Celti la morale significava semplicemente il rispetto delle tradizioni e dei costumi tribali.
La religione dei Celti, come la maggior parte delle religioni antiche, aveva due aspetti: uno esoterico e uno popolare. Sacerdoti e custodi della religione celtica furono i Druidi.
Il livello popolare era costituito da una mitologia accessibile e da una serie di riti che avevano pian piano inglobato anche alcuni elementi arcaici risalenti al neolitico e provenienti da culti solari tellurici e lunari. Si è creduto erroneamente per lungo tempo che le pietre erette (menhir), le tombe a camera megalitiche (dolmen), i grandi cerchi (cromlech) e gli allineamenti di pietre giganti fossero tutti monumenti eretti dai Druidi; ma oggi sappiamo che essi furono eretti almeno un millennio prima dalle grandi culture del neolitico. I Druidi si limitarono a utilizzarli.
Ogni popolo in Gallia si sceglieva un proprio nume protettore attribuendogli parimenti un nome particolare, così che, analizzando le caratteristiche degli oltre trecento Déi celtici di cui si trova almeno una volta menzione epigrafica, alla fine si ha l'impressione di ritrovarsi dinanzi a molte divinità doppione, simili per attributi, ma celate sotto nomi diversi. (introduzione a cura di Federico Giovenzana)

 

Le divinità

 

Senza dubbio i Celti, qualunque fosse al loro origine, si fusero con le popolazioni locali della Britannia e dell'Irlanda, e ne incorporarono usi e credenze.
I Celti dunque erano senz'altro politeisti, come tutti i popoli di origine indo-europea e nordica.
Professavano una dottrina originale, per nulla legata, sembra, alle religioni orientali: l'anima è immortale, alla morte del corpo cambia l'involucro e continua a vivere in un Al di là, che i Celti d'Armorica collocavano a ovest, in un'isola alla cui esistenza, in virtù della leggenda di san Brandano, cui si prestò fede fino al XVI sec.

I Celti credevano in un giudizio finale: verrà un giorno, affermavano, in cui l'acqua e il fuoco distruggeranno il mondo sensibile.
Essi ebbero inoltre fama di grande religiosità,come dimostra il numero delle loro divinità, che si spiega con il culto delle molteplici forze naturali, unito al particolarismo manifestantesi in campo religioso come in quello politico: più di 400 divinità regionali, caratterizzate non tanto dalle loro attribuzioni specifiche (guerra, amore, morte, sole, ecc.) quanto dall'estensione dell'area del loro culto.
Gli dei del pantheon celtico erano rappresentati talora accanto ai simboli delle loro prerogative (il dio del mazzuolo, il dio della ruota), talora in aspetto zoomorfo, come il dio anguipede, o Cernunno, a testa di cervo o di montone.
Nei miti dei Celti, misteriosamente influenzati dal pensiero di Pitagora, è sempre presente, come detto sopra, l'idea della reincarnazione. Neppure l'arte della trasformazione è estranea alle loro concezioni; basti pensare alle magie trasformiste di Merlino, che seduce la fata Viviana facendole apparire edifici, uomini e cavalli da un fascio di erba secca, oppure al mito di Blodewedd, la fanciulla creata da un mazzo di fiori apposta per l'eroe che non si poteva congiungere ad alcuna donna in carne ed ossa.
Molto simile è il caso del Combattimento degli alberi, cantato dal bardo Taliesin, dove i guerrieri bretoni, tramutati in alberi, per mezzo delle arti magiche del divino Gwyddyon, riescono ad avere la meglio sul nemico (una tradizione ripresa anche da Shakespeare).
Ricchissima di trasformazioni, colpi di scena, morti e resurrezioni, ottenute tuffando i corpi senza vita nel calderone magico, è la saga dell'eroe irlandese Cu Chulainn e quella dei Tuatha De Dannan, gli abitanti delle mitiche isole del nord, forse Avalon, Sena Thule, dove si apprendono la scienza, la magia, la stregoneria.
L'aldilà Celtico è un'isola di cristallo, cui si approda per caso, dopo essersi smarriti alla ricerca del Cervo bianco, durante un naufragio o in qualsiasi altra maniera che abbia fatto perdere il contatto con la realtà.
I romani dell'epoca di Cesare (I secolo a.C.), alle cui testimonianze risale buona parte delle fonti storiche di cui disponiamo, descrivevano un pantheon Celtico molto simile a quello latino.
Il padre degli dei era Dagda, come Giove grassoccio e pacifico, amante dei piaceri e della buona tavola. Non a caso teneva sempre presso di sé il calderone dell'abbondanza, che, per quanto si mangiasse e si bevesse, ritornava sempre pieno. Maestro nel trarre suoni dall'arpa, impugnava una clava con due poli, uno benefico e uno malvagio, con i quali dispensava fortuna e guai agli uomini.
Seguivano Ogmè, il Marte Celtico, dio della guerra nonché dell'eloquenza e della scrittura;
Lug, il dio-cinghiale custode dei segreti degli dei;
Belenos, il patrono delle fonti;
Brigantia o Belisama, protettrice dei medici, dei maghi e dei poeti.
E ancora Goibniu, il fabbro divino, Morrigan, la signora della terra dai tre volti, Cernumno, il giovane dio-cervo, Boinn, la vacca bianca.
Fra le decine di dei (fra l'altro multiformi ed ambivalenti) la più venerata era senza dubbio la Dea Madre (Anu o Danu per gli irlandesi, Dana o Dona per i britanni), personificazione della natura.
Come fra mitologia greca e romana c'era una stretta affinità, così era per le mitologie irlandesi e britanniche.

Ecco alcune delle corrispondenze più evidenti.
Al di là delle differenze di nome, l'impianto teologico celtico aveva alcuni capisaldi, che ci sono giunti grazie alla tradizione irlandese (e dunque coi nomi irlandesi).